I’m back!
All’inizio di marzo del 1995, iniziò a circolare la notizia che Michael Jordan aveva ripreso gli allenamenti con i Bulls. La ESPN interruppe tutti i programmi per dare la notizia di un possibile ritorno del numero 23. La Nike inviò 40 paie di scarpe targate Air Jordan ai Bulls.
La città di Chicago visse giornate di vera e propria frenesia nella speranza e nell’attesa che la notizia diventi ufficiale. L’intera America sportiva sperava in un sogno che sembrava potesse diventare realtà.
La stessa NBA trepidava all’idea. Il ritorno di Jordan sarebbe stato un colpo sensazionale per i già molto cospicui introiti della lega.
Il 18 marzo 1995 alle 11.40, la dirigenza dei Bulls diramò un breve comunicato stampa: “Michael Jordan ha informato i Bulls di aver interrotto il suo volontario ritiro di 17 mesi. Esordirà domenica a Indianapolis contro gli Indiana Pacers”.
Poco dopo MJ si presentò in confernza stampa e pronunciò poche efficaci parole, passate alla storia: “I’m back!”.
E la Jordan-mania tornò a divampare come un fuoco a Chicago, nell’Illinois, in tutti gli Stati Uniti.
Dopo sei gare dal suo ritorno i Bulls andarono a giocare al Madison Square Garden di New York, l’arena più famosa al mondo, e Michael Jordan scrisse 55 punti sul suo box score.
Era un giocatore però diverso quello che aveva ricominciato la sua avventura nella NBA. Un giocatore meno spettacolare, meno penetratore, che non metteva più palla a terra e andava a sfidare l’intera difesa avversaria schierata per una roboante scacchiata. Il nuovo MJ amava giocare in post, viveva spesso di fade-away, jump scagliati con mano sicura cadendo all’indietro in un movimento plastico ed instoppabile, che diverrà il marchio di fabbrica della sua seconda parte di carriera. Ma era anche un giocatore meno accetratore, più attento alle esigenze della squadra, più sereno, forse anche più portato allo scherzo, alla battuta. Jordan era tornato per vincere nuovamente, per instaurare una nuova dinastia, ma l’impresa non gli riuscì subito. La stagione 1994-95 fu segnata infatti dallo scontro in finale fra due squadre che avevano il principale punto di forza sotto canestro: gli Houston Rockets del trentaduenne Hakeem Olajuwon e gli Orlando Magic di Shaquille O’Neal, al suo terno anno nella lega.
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