21. New York: la rivalità diventa incubo
L’ipotetico sottotitolo di questo capitolo sarebbe stato: “Il tracollo, la fuga e le stoppate”.
Il tracollo è quello dei Bulls.
La fuga è quella di Michael Jordan. Al casinò di Atlantic City.
Le stoppate sono quelle subite da Charles Smith. Quattro. Consecutive.
Ma andiamo con ordine.
Eravamo rimasti all’epica vittoria in gara 7 dei Chicago Bulls nella semifinale della Eastern Conference del 1992, sui New York Knicks. New York aveva resistito per due quarti, poi era crollata al suolo e Chicago si era imposta con 29 punti di scarto.
Era stata una serie fisicamente durissima per la squadra dell’Illinois. Probabilmente la più dura che Michael Jordan e Scottie Pippen abbiano mai giocato nella loro gloriosissima carriera.
Le fatiche di quella serie si erano fatte sentire anche in finale di Conference, quando i Bulls erano apparsi palesemente stanchi e avevano faticato più del previsto per sbarazzarsi di quella che all’inizio pareva essere una mera formalità, i Cleveland Cavaliers. Ciò nonostante, il 14 giugno del 1992 Chicago potè festeggiare il back to back in gara 6 di finale contro Portland.
La stagione successiva il problema vero per la squadra era trovare dentro di sé le motivazioni giuste per un’altra stagione da protagonisti e per una tripletta che mancava nella NBA da oltre venti anni. Motivazioni che ovviamente cominciavano a vacillare. Un certo appagamento era evidente tra i ragazzi di Phil Jackson, inoltre il successo portò a gravi problemi interni di spogliatoio.
Si incrinarono i rapporti fra i due amiconi Pippen e Grant e, d’altro canto, due pedine fondamentali quali Paxson e Cartwright iniziavano a mostrare i primi acciacchi di un età non più verde.
Jordan e Pippen avevano partecipato alle Olimpiadi di Barcellona dopo una stagione logorante fisicamente e stressante da un punto di vista psicologico, e si presentarono al training camp decisamente stanchi.
Ad aumentare i dubbi sulla possibile tripletta dei Tori era la consapevolezza che mai come quell’anno la concorrenza si rivelava spietata.
La già competitiva Phoenix aveva acquistato colui che in quel momento era considerato il secondo miglior giocatore del pianeta, Charles Barkley, grazie al quale riuscirà a chiudere la stagione regolare col miglior record della lega (62 vittorie e 20 sconfitte).
Ma la squadra che faceva più paura a Chicago dopo gli ultimi playoffs era proprio New York.
I Knicks durante quell’estate avevano impostato il mercato al fine di colmare il gap tecnico coi Bulls.
Se l’anno prima fisicamente avevano intimorito e vinto la prova di forza con Chicago, la differenza tecnica fra le due squadre era risultata evidente ed il maggior talento dei Bulls aveva prevalso in gara 7.
I Knicks si era rinforzati con l’arrivo di giocatori di talento quali Doc Rivers e Charles Smith dai Clippers ed il veterano Rolando Blackman da Dallas, una guardia da venti punti a partita, alla sua ultima stagione NBA. Avevano invece rinunciato a Gerald Wilkins, spedito a Cleveland per lasciare spazio nel ruolo di guardia al guerriero John Starks e, loro malgrado, a Xavier McDaniel, spedito a Boston. La perdita di X-Man era tatticamente tremenda per New York e la ratio che aveva portato la squadra a disfarsi del giocatore sfuggiva a molti. L’anno prima McDaniel aveva annullato Pippen ed era stato il fattore determinante nella difesa dei Knicks. Il suo agente era David Falk, lo stesso di Michael Jordan e la stampa newyorkese si lanciò in una campagna contro Falk, accusandolo di aver pilotato lo scambio su pressione dello stesso MJ.
Non è dato sapere quanto ci si di vero in queste accuse, la cosa certa è che da quel momento, Scottie Pippen nelle infuocate sfide coi Knicks, non avrebbe più subito l’intimidazione degli avversari come gli era successo contro il duro McDaniel.
Nonostante la grave perdita, New York si presentò alla nuova stagione come una squadra più forte rispetto all’anno prima e con una nuova consapevolezza nelle proprie possibilità.
Patrick Ewing ne era il leader incontrastato. Il jamaicano chiuse la regular con 24.2 punti, 12.2 rimbalzi e 2 stoppate per gara. I Knicks vinsero 60 partite e stabilirono il miglior record ad est. Chicago si era fermata a quota 57. Dieci in meno rispetto all’anno prima.
Nella prima attesissima sfida di Regular Season al Madison, i Bulls furono sepolti sotto 30 punti di scarto.
Nell’ultima gara della stagione persero ancora a NY chiudendo i confronti sull 1-3.
Dopo la partita Jordan riconobbe i meriti e i progressi degli avversari, ma si affrettò a precisare: “Adesso si gioca sul serio. Quel che è stato fatto finora non ha alcun significato”.
I Playoffs erano nuovamente alle porte. La corsa al titolo era ricominciata. Chicago e New York erano pronti ad una nuova terribile guerra.
Le due squadre si ritrovarono ovviamente in finale di Conference per dar vita ad un nuovo memorabile confronto. Ma questa volta il fattore campo era a vantaggio dei Knicks.
Gara 1 fu subito una battaglia ricca di momenti di tensione.
Pippen, rinfrancato dall’assenza di McDaniel e comunque non più disposto a subire passivamente l’intimidazione degli avversari, stese letteralmente Doc Rivers lanciato in contropiede. Charles Smith lo ripagò con una spallata scatenando un principio di rissa a stento sedata dagli arbitri.
La gara si mantenne equilibrata per almeno tre quarti. La difesa di NY ancora una volta fu determinante. Jordan chiuse con 10 su 27 al tiro. Nel quarto periodo, il suo diretto avversario John Starks spezzò la partita, segnando per quattro volte di fila da 3 punti.
I Knicks si imposero per 98 a 90, con 25 punti di Starks.
Dopo la sconfitta Jordan si assunse davanti ai compagni e alla stampa le proprie responsabilità. Non aveva difeso bene nei possessi decisivi e aveva sbagliato troppo al tiro.
Il giorno dopo, MJ era teso e frustrato. Dopo l’allenamento pomeridiano, parlò a lungo col padre, quindi anziché ritirarsi nella sua suite al Plaza, come suo solito, affittò una limousine e si diresse verso Atlantic City, distante circa un paio d’ore di machina da New York, per una serata ai tavoli da gioco.
Era stato lo stesso James Jordan a consigliare a Mike una serata di svago, per evitare che il figlio si ritrovasse a rimuginare troppo sugli errori di gara 1 e a stressarsi nella spasmodica attesa della seconda gara in programma per il giorno dopo.
Ne nacque uno scandalo.
Verso le due di notte uno dei clienti del casinò ebbe la premura di informare Harvey Araton, giornalista del New York Times, della presenza di MJ al tavolo della roulette a poche ore da una partita decisiva.
Araton decise di non pubblicare la notizia il mattino della gara, sia perché la ricevette troppo tardi, sia perché aveva bisogno di verificarla. Decise di aspettare la partita, vedere come sarebbe evoluta e poi sbattere la notizia in prima pagina il giorno dopo.
Gara 2 fu un altro incubo per i Bulls e per il numero 23. MJ fece 10 su 32 al tiro. I Knicks vinsero 96 a 91.
Charles Oakley chiuse con 14 punti e 16 rimbalzi. NY si portava in vantaggio per 2 a 0 nella serie. Il canestro risolutivo della partita fu ancora di John Starks. La guardia dei Knicks superò Jordan uno contro uno e andò a schiacciare sulla testa dello stesso MJ, con la difesa dei Bulls schierata.
Ancora oggi quella schiacciata è ricordata a NY come The Dunk ed al Team Store del Madison campeggia tuttora in bella mostra il poster.
”Sarà una serie ancora molto lunga” affermò tuttavia profeticamente Ewing dopo la vittoria di gara 2.
E i fatti gli diedero ragione. Quel che però nessuno poteva ancora sapere è che l’incredibile schiacciata di Starks avrebbe sancito l’ultima vittoria dei Knicks della stagione.
Il giorno dopo, la notizia della presenza di Jordan ai tavoli da gioco la notte prima della disastrosa gara 2, fece il giro di tutti gli States.
I network ed i tabloid, secondo il costume americano, diedero grande enfasi alla notizia. E fu subito polemica.
Era noto che MJ amava scommettere e giocare, ma la certezza che avesse passato l’intera notte prima di una partita così importante in un casinò, aveva indignato l’opinione pubblica. Jordan si ritrovò sepolto vivo dalle critiche. Inizialmente ebbe una reazione pacata. Cercò di spiegare il suo punto di vista in una conferenza stampa, ma servì a poco. I giornali e i networks credevano di avere qualcosa di troppo succoso da trattare per potersi fermare proprio allora. La situazione sfuggì di mano un po’ a tutti.
Una TV di Chicago arrivò ad ipotizzare che Jordan fosse succube del gioco d’azzardo e vittima dei debiti.
Michael decise di entrare in silenzio stampa. Molti ritengono che la pressione su MJ in quei giorni raggiunse un livello così alto che l’idea del primo ritiro maturò allora.
Purtroppo il peggio doveva ancora arrivare con il libro scandalo di Esquinas (proprio durante le finali con Phoenix) e le terribili speculazioni sull’improvvisa morte del padre.
Sommersi dalle polemiche i Bulls si presentarono alla decisiva gara 3, come una squadra che non aveva più nulla da perdere.
Jordan incappò nell’ultima serata negativa. Fece 3 su 18 al tiro, ma riuscì comunque a mettere insieme 22 punti e 11 assist.
I Bulls dominarono e si imposero per 103-83.
Probabilmente l’errore più grosso di NY fu di non credere in quella partita, considerandola normalmente persa per un rigurgito d’orgoglio di Chicago.
I Knicks non giocarono alla morte come le due precedenti gare, non misero gli avversari spalle al muro, non sfruttarono la terza serata negativa di Jordan, non si portarono sul 3-0, chiudendo definitivamente il discorso.
Permisero ai Bulls di rientrare nella serie e riacquistare fiducia. Permisero soprattutto a Jordan di ritrovare il suo smalto e riprendere in mano la serie nelle partite che davvero contavano.
In gara 4, infatti, ci fu la prevedibile esplosione del numero 23.
I Knicks stavolta giocarono una partita difensivamente dura, ma nulla poterono per fermare MJ: 54 punti, il 60% dal campo, 6 su 9 dalla distanza e i Bulls vinsero 105-95, impattando la serie sul 2 a 2.
“Non è accaduto ancora niente di speciale. Una serie non inizia finchè non c’è una vittoria in trasferta” commentò Pat Riley a fine gara.
Era vero che non era accaduto ancora nulla. Era vero che non vi era stata ancora una vittoria in trasferta. Era vero che gara 5 si giocava a New York e la serie era appena sul due a due. Era vero anche che l’eventuale settima partita sarebbe stata al Madison. Ma i Bulls sull’orlo del collasso si ripresero. E per i Knicks fu la fine.
Secondo Bill Bradley, amico di Jackson, ex Knicks negli anni dei titoli e senatore del New Jersey, senza il capitolo Atlantic City, i Bulls sarebbero affogati. Invece, dopo lo “scandalo”, Chicago aveva smesso di giocare contro NY e aveva cominciato a giocare contro il mondo.
Gara 5 si presentava come la sfida decisiva della serie. I Bulls sapevano di poter vincere la sesta partita al Chicado Stadium, ma pensavano fosse impossibile riuscire a battere i Knciks in gara 7 al Madison Square Garden, dove vi avevano perso 4 volte su 4 quell’anno. Se volevano approdare in finale dovevano imporsi in gara 5, in trasferta.
La pressione era su entrambe le squadre. Ma i Bulls era più preparati a giocar certe partite.
Jordan, dopo l’exploit della gara precedente, per i primi tre quarti della partita si mise completamente al servizio della squadra.
Tirò pochissimo ma smazzò una serie di assist, tra cui una spettacolare alzata per Scottie Pippen da metà campo a metà primo quarto. La prima frazione di gioco fu spumeggiante e ricca di continui capovolgimenti. Le difese non avevano ancora preso il comando della partita, così entrambe le squadre tirarono con ottime percentuali. 31 a 28, Bulls, il risultato alla fine del primo quarto.
Per MJ 6 punti ma già 5 assist. Per Pippen 11 punti e 4 rimbalzi.
Il secondo quarto si aprì con i Knicks decisi a spezzare la partita. Un gioco da 3 punti di Ewing che i lunghi di Chicago non sembrarono poter contenere ed un canestro di Blackman portarono la squadra di casa sul più due: 35 a 33.
Chicago provò a reagire, ma New York con tutto il pubblico del Madison ad urlare “Defence, defence” mise un parziale di 9-0, portandosi sul più 6.
Jordan fermò la corsa dei Knicks con un canestro dalla distanza. I Bulls alzarono la pressione difensiva e la partita andò al riposo sul 56 a 55, per New York.
Ad inizo terzo quarto uno spettacolare coast to coast di Scottie Pippen diede il vantaggio ai Bulls. A cinque minuti dalla fine del periodo, MJ smazzò il dodicesimo assist della sua serata per BJ Armstrong che portò Chicago sul più 5. Da quel momento in poi New York alzerà il proprio muro difensivo e nessun giocatore dei Bulls che non avesse il numero 23 sulle spalle sarebbe più riuscito a trovare il canestro per oltre dodici lunghissimi minuti.
Momenti di panico quando Smith in penetrazione colpisce allo stomaco con una ginocchiata Jordan che rimane per alcun secondi a terra senza fiato.
Sull’azione successiva Michael supera Starks e mette il 75 a 70 a 2 minuti e 40 dalla fine del terzo periodo. Ewing risponde da sotto per il 75 a 72. Pippen sbaglia e Pat vola a rimbalzo. Paxson commette fallo su Rivers che fa 2 su 2 dalla linea: 75 a 74, Bulls.
MJ va nuovamente a canestro. Rivers sulla rimessa perde palla. Jordan segna, subisce fallo e va in lunetta per il tiro libero supplementare.
Dall’altro lato del campo anche Ewing completa un gioco da tre punti e trascina i Knnicks alla rimonta. Poi ancora MJ chiude il terzo quarto sull’80-77, Chicago.
Nel quarto periodo entrano in gioco le superbe difese di entrambe le squadre. I primi due minuti non segna nessuno. È MJ a rompere una serie di errori, portando Chicago sul più cinque. Poi sempre Jordan mette la tripla dell’85 a 77. Ewing non ci sta. Prova la tripla da grande distanza. Solo rete: 85 a 80, quando mancano 7 minuti alla fine. È uno scontro tra fuoriclasse.
Ma Jordan si sa, in queste situazioni ci sguazza. E non ha rivali.
Il numero 23 stoppa Ewing, quindi gli ruba palla, un dai e vai con Pippen e 2 punti facili per il numero 23. Gli ultimi 14 punti punti dei Bulls portano tutti un’unica firma. Più sette Bulls.
Nel frastuono del Garden, NY prova a reagire. In difesa costringe Chicago a forzare, in attacco segna da sotto con Ewing per due volte riportandosi sul meno due.
Da oltre 11 minuti nessun Bulls ad eccezione di Jordan, trova più il canestro. Ancora un errore in attacco di Chicago. Ancora Patrick Ewing supera Horace Grant, impatta il risultato, subisce fallo e mette il tiro libero supplementare.
A 4 minuti e 40 secondi dalla fine della partita, New York Knicks 88, Chicago Bulls 87.
Pippen tenta da tre. Sbaglia. Jordan vola rimbalzo offensivo e la mette in tap-in, subendo a sua volta fallo: 90-88 per i Bulls.
Di MJ gli ultimi 17 punti di Chicago.
Pippen rompe finalmente il digiuno dalla lunetta. Ma a 2 primi e 15 secondi dalla fine Rivers mette la tripla del controsorpasso Knicks: 92-91.
Mason fa fallo su Grant: 1 su 2 dalla linea della carità per l’occhialuta ala di Chicago. Risultato sul 92 pari.
Cartwright esce per falli. Ewing fa 1 su 2 dalla linea quando manca un minuto e mezzo alla fine. Knicks 92, Bulls 91.
Si entra nel fatidico ultimo minuto della partita.
MJ pesca Armstrong per la tripla. È il suo quattordicesimo assist. A quarantaquattro secondi dalla fine Smith mette un tiro libero per il meno 1 dei Knickerbockers.
I Bulls sbagliano in attacco e l’ultimo possesso va a New York, sotto di uno. Quello che può valere la vittoria.
Ewing riceve palla all’altezza della lunetta. In sospetta infrazione di passi, serve, con un ottimo movimento, Charles Smith sotto canestro. L’ala dei Knicks va al tiro nell’area intasata da meno di un metro. Stoppata. La palla gli ritorna fra le mani. Ritenta il tiro. Di nuovo una stoppata. Smith recupera il pallone. Tira di nuovo. Ancora una stoppata. E poi ancora una.
Quattro stoppate consecutive. Due da Pippen, due da Jordan.
Charles Smith, da quel disastroso finale di partita, non si sarebbe mai più ripreso.
Dopo l’ultima stoppata, la palla schizza via e i Bulls vanno a chiudere la gara in contropiede imponendosi di 3 lunghezze: 97 a 94.
Per Michael Jordan 29 punti, 10 rimbalzi, 14 assist. Una tripla doppia che vale oro.
New York aveva costruito tutta la strategia dei PO sul vantagio del fattore campo, Riley aveva tenuto per l’intera stagione la squadra sotto pressione per arrivare a giocare la sfida decisiva con i Bulls con il fattore campo a favore e tutto era saltato a causa di 4 stoppate nel giro di una manciata di secondi.
La sesta partita non ebbe storia e i Bulls si imposero in casa contro una New York completamente stordita per 96 a 88.
Chicago volava verso la terza finale consecutiva.
New York usciva nuovamente consecutivo sconfitta.
“Nel mio cuore sono ancora convinto che eravamo più forti. Abbiamo semplicemente regalato la serie” saranno le parole di un affranto Patrick Ewing al termine di gara 6.
La rivalità per New York era ufficialmente divenuta un incubo.
Pubblicato per Playitusa il
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