20. Una rivalità leggendaria
Forse si potrebbe peccare di superficalità, ma difficilmente si potrebbe sbagliare affermando che l’America sportiva nutre fondamentalmente tre viscerali passioni.
La prima è per le classifiche: il miglior giocatore della storia, il più alto, il più grosso, quello con le spalle più larghe e le braccia più lunghe, il miglior centro, la squadra più forte, il coach più vincente e via dicendo.
La seconda è per le statistiche: i punti fatti da MJ in carriera, la media rimbalzi di Rodman, gli assist per persa di Stockton, le stoppate per chilogrammo di Shaq, le schiacciate per capello del Doc, i tiri forzati di Bryant e chi più ne ha, più ne metta.
La terza grande passione è ovviamente per le rivalità: Chamberlain contro Russel, Robertson contro West, Magic contro Bird, Bird contro Erving, Lakers contro Celtics, Celtics contro Sixes, Bulls contro Pistons, and so on.
Ed è su quest’ultima passione che ci soffermiamo con particolare interesse. Le sane rivalità sportive.
Sane? Sportive? Forse è leggermente fuori luogo usare questi termini, nel momento in cui ci apprestiamo a parlare della rivalità (a proposito di classifiche!) più feroce e cruduele di sempre.
Una vera e propria battaglia fra due franchigie, che ha avuto un prologo nei playoffs del 1991, è esplosa in tutta la sua violenza in quelli del ’92, si è potratta per gran parte degli anni ’90, e di “sano” e “sportivo” non ha avuto proprio un bel nulla. Bensì è stata feroce, cruenta, esasperata, per certi versi drammatica.
Negli anni ’90, i Chicago Bulls di Michael Jordan sono sempre stati il nemico contro cui i New York Knicks di Patrick Ewing hanno regolarmente visto morire i loro sogni di gloria. Una nemico impossibile da abbattere. Molte volte sono stati sul punto di affossarlo, molte volte sono arrivati ad un passo dalla grande impresa, ma alla fine ne sono sempre usciti sconfitti. Anche quando sembravano più forti. Ma i Knicks ci hanno sempre creduto e non si sono mai arresi.
Per tutto il decennio, battere Chicago era diventato l’unico vero scopo di vita nella Grande Mela. Ben più di un’ossessione. Il coach Jeff Van Gundy, a NY come assistente dal ’92, dirà che in quegli anni pensava ai Bulls e a Jordan, ogni santissimo giorno.
Per Patrick Ewing, battere Chicago con Jordan in campo nei playoffs valeva una carriera.
Ma se i Bulls per i Knicks sono stati un vero e proprio incubo, di certo New York non ha fatto dormire sonni tranquilli ai ragazzi dell’Illinois.
Negli anni dei titoli, in quattro occasioni su sei, Chicago ha dovuto affrontare i Knicks, prima di arrivare all’anello. E tutte le volte ha sputato sangue e sudore per sbarazzarsene.
New York è stata l’unica squadra (finali a parte) a mettere sotto i Bulls, durante le loro galoppate vincenti verso gli anelli. E c’è riuscita per due volte. In un’occasione addirittura portandosi avanti nella serie per 2 a 0. E, banale dirlo, nell’anno in cui Jordan si diede al baseball, le velleità di vittoria di Pippen e compagni si frantumarono proprio al Madison Square Garden.
Anche quando era nettamente più forte, come nel 1996, la sfida con i Knicks assumeva per Chicago un sapore particolare e presentava delle insidie che nessun’altra squadra poteva arrecare.
Basti leggere le dichiarazioni di Scottie Pippen dopo che Chicago nell’anno dei Record aveva eliminato New York in una semifinale di Conference squilibrata tecnicamente, ma durissima fisicamente: “Mi sento come un carcerato a cui hanno dato la libertà”.
Cui farà eco Rodman, che pure l’esplosione della rivalità e le battaglie più dure non le aveva vissute, nel 1997: “Se loro ci odiano, noi di certo non li amiamo”.
Il vero e proprio odio fra le due franchigie ha avuto inizio nella stagione 1991-92. Stagione in cui, per la prima volta, i Bulls di MJ si trovavano a difendere il titolo di campioni in carica.
La Regular Season aveva preso il via, con la convinzione comune che il back to back dei Tori fosse l’epilogo più probabile.
I Lakers, finalisti dell’anno prima, improvvisamente privi di Magic, ritiratosi per i tristi e ben noti motivi personali, finirono al penultimo posto della Pacific.
E quando anche i nemici storici dei Bulls, i Detroit Pistons, si ritrovarono ad arrancare nel calderone della Eastern, chiudendo in profondo affanno con il quinto record ad est, apparve chiaro a tutti che in pochi avrebbero potuto opporsi allo strapotere di Chicago.
La Regular si trasformò in una cavalcata vincente per la squadra dell’Illinois: 67 vittorie e 15 sconfitte, record di franchigia frantumato.
Il primo turno di playoffs fu quasi banale. Un tre a zero a Miami, alla sua prima apparizione in post season.
Poi Chicago si ritrovò ad aspettare che finisse il primo turno fra Pistons e Knicks per conoscere la sua avversaria in semifinale di Conference.
Gli ex duplici campioni di Detroit persero nettamente gara 1 ma vinsero al Madison in gara 2. Persero all’overtime gara 3 in casa, e si rifecero in gara 4, portando tutto alla bella.
L’esperienza dei Pistons contro la verve e la giovinezza dei Knicks. Due squadre, comunque, molto simili. Non sarebbe infatti sbagliato affermare che Pat Riley aveva costruito i suoi Knicks ad immagine e somiglianza dei Bad Boys di Chuck Daly. Tanta difesa ed un gioco aggressivo per intimorire gli avversari.
I network statunitensi e i giornali si divertirono a scrivere che in quella gara 5 era in palio il diritto a farsi spazzare via da MJ e compagni. Detroit ormai era giudicata in netta fase calante. New York non aveva l’esperienza, nè il tasso tecnico per impensierire Chicago. Tanto più che in regular season vi aveva perso quattro volte su quattro.
I Knicks comunque si imposero nella sfida decisiva e si ritrovarono a volare verso Chicago per il secondo turno dei playoffs.
Quel che nessuno poteva immaginare era che Chicago stava per affrontare la serie più dura e difficile che abbia mai dovuto affrontare per arrivare ad uno qualsiasi dei suoi sei titoli NBA. Né tanto meno nessuno poteva immaginare che quella semifinale avrebbe sancito l’esplosione della Grande Rivalità.
I Bulls avevano appena perso per sempre i Pistons, ma stavano per incontrare un nuovo, più acerrimo e terribile nemico.
I Knicks partirono subito a mille. In gara 1 giocarono una partita ai limiti della perfezione in difesa, tennero tutti i Bulls (Jordan compreso) a percentuali bassissime e si imposero al Chicago Stadium, fra lo stupore generale, per 94 ad 89.
Pat Riley aveva deciso di esasperare in quella serie i principi che erano alla base del suo gioco. Impostò tutte le gare su una difesa fisica e feroce, andando ad aggredire sul piano muscolare il giocatore ritenuto mentalmente più debole dei Bulls, Scottie Pippen.
In pratica ripercorse con una perfezione quasi maniacale, quelli che erano stati i passi di Chuck Daly nelle infiammate sfide tra Bulls e Pistons.
L’uomo chiave della difesa dei Knicks era Xavier McDaniel, un’ala di 2 metri dalla spaventosa forza fisica, arrivato in estate da Phoenix. Un giocatore deciso e duro, se mai ce n’è stato uno a calcare i campi NBA. McDaniel abusò di Pippen per tutta la serie riducendolo ai minimi termini e rendendo assolutamente insufficiente l’apporto del 33 alla cuasa Bulls.
Scottie sembrò riprecipitare in un incubo. Era da poco riuscito a liberarsi dell’oppressiva ed initmidatoria difesa dei Pistons che aveva tanto sofferto e che gli aveva procurato poco lusinghieri epiteti quali “molle”, “psicologicamente fragile”, ed ora che stava riscattando la sua figura di giocatore, trovava sulla sua strada i Knicks e McDaniel.
In gara 2 i Bulls riuscirono comunque ad imporsi per 86 a 78, in una partita dominata dalle difese e dagli errori al tiro.
Lo stesso Jordan, che comunque trascinò di peso la squadra alla vittoria, aveva avuto profondi problemi nel superare la difesa di New York.
MJ si scatenò in gara 3 al Madison Square Garden, quando i Bulls riuscirono a recuperare il fattore campo, imponendosi per 94 a 86. Sembrava finita. I giornali americani diedero il via ad un totoscommesse. Di quanti punti i Knicks avrebebro perso le successive due partite, consegnando la finale di Conference ai Bulls? Saranno tutti nuovamente smentiti. La serie era ancora alle scaramucce iniziali.
New York si impose in gara 4 in una partita tiratissima e ricca di momenti di tensione. Vari scontri di gioco ai limiti della vera e propria violenza fisica si susseguirono con preoccupante periodicità. Phil Jackson venne espulso per proteste e prima di entrare negli spogliatoi salutò ironicamente il pubblico del Garden (che un tempo era stato anche il suo pubblico) nel frastuono generale.
McDaniel subito dopo quella gara sfogò la sua carica agonistica consegnando direttamente ai libri di storia l’epica frase: “Mettememi in una stanza da solo con tutti i 12 Bulls e sarò l’unico ad uscirne”.
Sul due a due, si tornò nell’Illinois per gara 5.
La difesa e l’intimidazione dei Knicks diedero ancora una volta ottimi risultati con tutti i Bulls. Ma non con Jordan.
Michael realizzò 37 punti e portò Chicago a dominare la gara, molto più di quanto non dica il punteggio finale, 96 a 88.
La resa dei Knicks sembrava nuovamente davvero vicina. Ma New York, a dispetto di tutti coloro che si apprestavano ancora una volta a magnificare e celebrare la potenza dei Bulls, si impose nettamente in gara 6 per 100 a 86. 14 punti di scarto.
Per la prima volta nella serie una squadra riusciva a toccare la fatidica quota dei 100 punti e, sorpresa delle sorprese, non era stata Chicago.
Pat Riley aveva avuto il profondo merito di crederci fino in fondo e di aver spinto i suoi ad un’incredibile vittoria. Gara 6 era stata forse la partita più fisica della serie.
McDaniel aveva completamente annullato Pippen. I Bulls si erano ritrovati impossibilitati a gestire un qualsiasi pallone senza aver addosso due o tre giocatori dei Knicks in pressione.
Durante tutta la stagione regolare, Chicago non aveva superato la soglia dei 100 punti solo in 7 partite su 82 disputate. Nella serie contro New York per sei volte su sei era rimasta sotto quella fatidica soglia.
Nel dopopartita, Phil Jackson ebbe modo di lamentarsi a lungo delle decisioni aribtrali e di un metro di giudizio che lasciava ai Knicks ampia possibilità di un gioco fisico e violento.
Pat Riley, parecchi anni dopo, avrà modo di dire, che dopo quelle dichiarazioni, era pronto a scommettere su una direzione arbitrale punitiva per la sua squadra nelle decisiva gara sette al Chicago Stadium. Cosa, a suo parere, puntualmente avvenuta.
Prima della fatidica sfida che avrebbe deciso il futuro delle due squadre, Michael Jordan si ritirò in uno stanzino col padre e gli parlò a lungo. Gli chiese un consiglio: partire piano e coinvolgere i compagni o prendere in mano la partita fin da subito in uno contro tutti, sperando che gli altri lo seguissero. “Take over!” fu la risposta di James Jordan. E Michael eseguì.
Palla a due. Primo possesso in attaco dei Bulls. Subito un fallo su MJ da parte di Charles Oakley.
Due su due dalla lunetta. Secondo possesso dei Bulls. Secondo fallo dei Knicks. Ad opera di Ewing, stavolta. Ancora due su due dalla linea della carità.
Dall’altro lato i primi tre possessi di New York si tramutarono in altrettanti canestri: 7 a 4, Knicks. Sarà l’ultimo loro vantaggio nella gara. Poi Jordan suonò la carica.
A 7 minuti e mezzo dalla fine della prima frazione di gioco, MJ partì in palleggio, bruciò sul primo passo Gerald Wilkins, veleggiando quindi verso il canestro. Ewing saltò per la stoppata. Cambio di mano e canestro.
Ma non appena i Bulls sembrarono allungare, i Knicks misero in moto la loro (poco gioiosa) macchina da guerra. E McDaniel iniziò a puntare Pippen per estraniarlo dal gioco.
A circa tre minuti dalla fine del primo quarto, l’ala dei Knicks spintona il numero 33 biancorosso. Scottie non reagisce. E si allontana velocemente dall’avversario. Trenta secondi dopo, gli arbitri fischiano un fallo in attacco a X-Man. Mentre i giocatori di New York protestano, McDaniel si avvia tranquillamente verso la sua area. Passando vicino a Pippen, lo urta volontariamente. Scottie rimane immobile. Xavier gli urla qualcosa sul muso e va per aggredirlo di nuovo.
Jordan è lì. “Take over!” gli aveva detto il padre.
Michael allontana Scottie e si butta a muso duro contro McDaniel, in un faccia a faccia che ha fatto epoca. I due si guardano in cagnesco per un tempo che pare interminabile, fronte contro fronte. Si studiano, si valutano, si urlano a vicenda frasi oscene. Le telecamete immortalano le labbra di un furioso MJ che si muovono a scandire un chiarissimo “Fuck you! Fuck you!”.
Gli arbitri li dividono. Doppio fallo tecnico per entrambi. Ma il messaggio era stato spedito. I Bulls, con Jordan in testa, non accettavano l’intimidazione fisica. Erano pronti a tutto, allo scontro, persino alla rissa se fosse stato necessario. Come sperato da James Jordan, la squadra seguì l’esempio del numero 23. E la partita si infiammò.
New York reagì alzando il suo muro difensivo. Una schiacciata di Ewing, un 2 su 2 dalla linea della carità di Mason, ed un canestro di MJ fissarono il risulato alla fine del primo quarto sul 30 a 25, Bulls. Per MJ 18 punti e 5 su 8 dal campo. Per Ewing 7 punti e 3 su 9 dal campo.
Il secondo quarto fu inaugurato da un canestro impossibile di Jordan. Tre uomini su di lui (Ewing, Starks ed Anthony) e MJ che, con un movimento dei suoi, va comunque a canestro e subisce fallo per un gioco da tre punti. Ma la gara è tirata. McDaniel segna da sotto. I Bulls perdono due palle di seguito in attacco e John Starks riporta i Knicks sul meno due: 35-33.
Una schiacciata di Pippen a due mani e una tripla di Hodges fissano il risultato, a 5 minuti dall’intervallo, sul 44 a 35, Bulls.
Chicago tira col 70% dal campo. NY è calata paurosamente al 45%. Ewuing ha 10 punti, 1 rimbalzo e 3 su 9 dal campo.
Pippen e Jordan in rapida successione, portano i Bulls sul più 11. I Knicks continuano a sbagliare in attacco. Andranno all’intervallo col 33% al tiro.
Il solo Jordan chiuderà il primo tempo con 29 punti e l’83% al tiro.
Il terzo quarto si apre con un’alzata da metà campo di MJ per Pippen che appoggia al volo a canestro, fra il boato del pubblico.
I Knicks provano ancora una volta a rientrare. McDaniel firma il 60-53. Ewing segna da sotto: 60-55. Ancora Ewing dalla distanza, ed è 60-57. La partita sembra riaperta ma sarà l’ultimo bagliore dei Knicks.
Dopo di allora NY non segnerà per oltre 5 minuti.
Jordan riprende in mano la partita. Attira su di sé una tripla marcatura di NY, brucia con un’ubriacante finta Gerald Wilkins e serve un telepatico assist per Horace Grant.
A 5 primi dal termine del quarto arriva una delle giocate più belle della gara.
MJ riceva palla in aerea Knicks su rimessa dei Bulls. Si libera di Wilkins e Starks con una finta. Segna. Torna in difesa. Intercetta la rimessa lunga di New York all’altezza della metà campo. Parte in palleggio, ma Starks gli ruba la palla e serve McDaniel che, tutto solo, vola in contropiede per due punti facili. Ma MJ è dietro di lui, lo bracca e gli sporca il tiro.
Sull’azione successiva BJ Armsotrong mette la tripla che sancisce la resa dei Knicks. NY è adesso zero su cinque dal campo negli ultimi 5 minuti, mentre i Bulls sembrano un rullo compressore.
Jordan sigla uno dei canestri più belli della sua carriera. Riceva palla in area sul lato destro del campo. Starks è su di lui. MJ lo supera sul primo passo, stacca per andare a canestro. Ewing va per la stoppata. Avvitamento in area di MJ. Palla che scompare, e riappare nel cesto. Dopo la giocata Michael si siede sul pino con 36 punti, 4 rimablzi e 4 assist già nel carniere.
I Knicks ora sono al 27% al tiro. I Bulls al 53% e sul più 15.
Il quarto periodo è pura accademia di Chicago. Durante una pausa scorrono sbiadite immagini di un Reed zoppicante che regala un anello ai Knicks. Hodges a 6,48 dalla fine sigla il + 21 Bulls.
Il centesimo punto di Chicago è opera di MJ. L’azione successiva lo stesso Michael stoppa McDaniel e il duro dei Knicks non accenna neanche una reazione. È il segnale: i Knicks si sono ufficialmente arresi.
Il punteggio finale sarà 110-81: 42 punti per Jordan e i Bulls volano in finale di Conference e in seguito verso il loro secondo anello.
“L’ordine è stato ristabilito” titolerà il Chicago Tribune il giorno seguente in uno dei titoli sportivi più famosi nella storia dello sport americano.
MJ definirà quella serie “Uno schiaffo in faccia”.
Ma se con la vittoria in gara 7, i Bulls avevano creduto di essersi liberati dei Knicks, sarebbero stati ben presto smentiti. La rivalità era appena cominciata.
Perchè New York ritornerà. Più forte di prima.
Ancora ed ancora…
Pubblicato per Playitusa il
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