14. Dio travestito da Jordan
È il primo Novembre del 1986.
Al Madison Square Garden, Chicago Bulls e New York Knicks scendono in campo per la loro prima partita di Regular Season.
A metà dell’ultimo quarto i Bulls sono sotto di 6 punti, quando l’allora ventitreenne Michael Jordan si avvicina al neo allenatore di Chicago, Doug Collins, e gli bisbiglia ad un orecchio: “Coach non ti lascerò perdere la tua prima partita in NBA!”.
Detto, fatto. MJ segna tutti gli ultimi 18 punti dei Bulls e porta la sua squadra alla vittoria, diventando il primo giocatore nella storia a superare i 50 punti al Madison Square Garden da avversario dei Knicks.
Il 29 Aprile del 1992 i Chicago Bulls, nel pieno della loro corsa al secondo titolo NBA, si ritrovano davanti, al primo turno di Playoffs, i Miami Heat, alla loro prima apparizione di sempre in post-season. In gara 3, in Florida, Miami prende un buon vantaggio e Jordan chiude il primo quarto a secco.
Tutti commettono dei grossolani errori nella loro vita. E quella volta toccò all’ala degli Heat, Willie Burton. Sussurrò qualcosa di poco carino alle orecchie di MJ.
Risultato? Cinquantadue punti nei tre quarti successivi e sweep per Miami.
La prima volta che Michael Jordan, leader incontrastato della NBA, e Shaquille O’Neal, rookie dei Magic, si incontrarono su un parquet da avversari, fu il 12 Gennaio del 1993. Un martedì qualunque.
Shaq era arrivato nella NBA con la nomea di futuro dominatore della lega. “Se Jordan è il Re, O’Neal sarà l’imperatore” è lo slogan più gettonato dalla stampa specialista made in USA. Sono passati solo pochi secondi dalla palla a due, quando Sahq riceve il suo primo possesso in post. Movimento spalle al canestro e… e stoppone sul muso! Inutile precisare il colpevole. Indossa il numero 23.
Quattro giorni dopo, per la rivincita dei Magic, MJ metterà a referto 63 punti. Giusto per capire meglio la storia del re e dell’imperatore.
Qualche annetto dopo, il 21 Gennaio del 1997, il neo allenatore dei New York Knicks, Jeff Van Gundy, mosse a Michael Jordan, l’accusa più grave. Quella di ruffianeria. Di onorare gli avversari della sua amicizia fuori dal campo, per poi poterli umiliare sul parquet senza che gli stessi possano risentirsene troppo.
Dopo poche ore Knicks e Bulls scesero in campo allo United Center. Jordan dirà 51 nella vittoria di misura di Chicago. E al termine della partita, inferocito come non mai, si dirigerà verso la panchina Knicks, trattenuto a stento da Pippen e Rodman (sic!), urlando in faccia al povero Jeff: “Adesso ti sarai calmato piccolo dischetto da hockey?!”.
È su tutte queste cose che è nata e maturata la leggenda di Michael Jeffrey Jordan. Le sfide. Le provocazioni. Il voler essere sempre, in qualsiasi momento, il migliore. Il numero uno incontrastato. La sua leggenda se n’è nutrita come pane, ingrossando a dismisura, arrivando a toccare confini mai esplorati da qualsiasi atleta prima di lui, tranne forse da colui che amava definirsi The Greatest, al secolo Mohammed Alì.
Potremmo riempire diversi libri e aver detto comunque poco, se volessimo parlare di tutte le imprese del numero 23 in maglia Bulls. Di tutti i Jordan-stopper che di volta in volta venivano fuori. Illustri difensori che il giorno prima di incontrare Chicago, dichiaravano di aver trovato il modo per fermarlo, per poi venir clamorosamente scherzati in partita. Delle magiche prestazioni al Madison, l’arena più famosa al mondo. Della volta in cui, in occasioni della finale del 1992 tra Chicago e Portland, la stampa americana aveva portato all’esasperazione il confronto Jordan/Drexler, le due guardie, i due leader delle squadre, probabilmente (Barkley permettendo) i due migliori giocatori della lega. Jordan che veniva inequivocabilmente ritenuto superiore, ma Drexler che veniva considerato un miglior tiratore dalla distanza. E MJ che risponderà in gara 1 con uno storico 6 su 6 da tre, solo nel primo tempo.
Potremmo parlare di tutto questo per poi ritrovarci a chiedere quando e dove tutto ha avuto inizio? Quando e dove ha iniziato a prendere corpo la clamorosa epopea di Michael Jordan? Quel Big Bang i cui effetti si ripercuoteranno con sommo fragore in tutto il mondo, tracceranno nuovi confini per un atleta, ne amplieranno i limiti, e che, anni dopo, porteranno Karl Malone a definirlo malato, malato di competitività.
Alcuni potrebbero rispondere che la data principe è il 29 Marzo del 1982 ed il luogo è New Orleans. The Shot. Il primo. Davanti a 65.000 spettatori assiepati sugli spalti del Dome e ad 80 milioni di americani sintonizzati davanti alla TV.
Altri potrebbero rispondere diversamente. E che tutto andrebbe traslato di qualche anno.
Al 1986. Mese di Aprile. Giorno, 20. Luogo: Boston Garden, Boston, Massachussets.
Quel giorno ed in quel luogo prese forma la leggenda.
Era la seconda stagione di MJ nella NBA ed i Bulls venivano da una Regular Season molto deludente. Dopo 3 gare ed altrettante vittorie, Micheal si era infortunato il navicolare del piede sinistro. Lo stesso ossicino che aveva rovinato la carriera di Bill Walton. Un infortunio grave, che potenzialmente poteva sancire anche la fine della sua carriera.
Privi del loro miglior giocatore, i Bulls precipitarono nei bassifondi dell’Atlantic.
MJ, nonostante il parere negativo della dirigenza, andò a far riabilitazione nel North Carolina ed il suor recupero ebbe del miracoloso. Già a febbraio si dichiarò pronto per rientrare in campo. È a quest’epoca che risalgono i primi screzi con Jerry Krause, gm di Chicago. La dirigenza dei Bulls infatti gli sconsigliò un rientro troppo frettoloso. Jordan la accusò di non voler fare i playoffs per entrare in lottery. Krause durante un burrascoso incontro privato, si narra, gli disse sul muso che lui non poteva fare di testa sua perché era “soltanto una proprietà dei Bulls!”.
Questa frase Jordan se la sarebbe legata al dito e a nulla sarebbero serviti i commenti pubblici di Krause che, in seguito, riferirà alla stampa di essere stato semplicemente equivocato.
Alla fine la spuntò MJ. Dopo 67 partite con i suoi Bulls fermi al misero bilancio di 22 vittorie, Jordan ritornò a calcare i campi di gioco.
Con otto vittorie nelle ultime 15 gare, i Bulls riuscirono a centrare l’ultima piazza disponibile per i playoffs.
Gli avversari del primo turno erano i Boston Celtics, reduci dalla loro migliore annata dell’epoca Bird, 67 vittorie e 15 sconfitte, all’epoca terzo miglior record di sempre. Boston veniva da due finali consecutive. E quell’anno avrebbe rivinto il titolo, il terzo degli anni ’80, l’ultimo dell’era Bird.
Larry al suo terzo MVP stagionale consecutivo (impresa riuscita solo a Chamberlain e Russell) aveva chiuso la stagione con 25.8 punti a partita (quarto in NBA), 9.8 rimbalzi (settimo), 6.8 assist (quattordicesimo), 2.02 recuperi (nono), l’89% ai liberi (secondo) ed il 42% da tre (quarto).
Nessuno pensava ci potesse essere una seppur minima competizione fra le due squadre. Tutti pronosticavano uno sweep. E’ sweep è stato. Ma mai nella storia della lega, una serie persa 3-0 è stata dominata così nettamente da un singolo giocatore.
Jordan segnò 49 punti in gara 1 (30 solo nel primo tempo). Record di franchigia eguagliato e record di PO battuto. Quinta prestazione assoluta di un giocatore in una gara di playoffs. In cima alla classifica, irraggiungibile, c’era Elgin Baylor che in una gara 5 di finale contro Boston ne aveva messi 61.
Presto quel record sarà solo storia.
In gara 2 tutta l’America si fermò attonita ad ammirare la più grande prova di un singolo giocatore in una partita di Playoffs: 63 punti. E Baylor diverrà un lontano ricordo.
Dennis Johnson, otto volte nel primo quintetto difensivo NBA, e Danny Ainge ebbero l’arduo compito di controllarlo durante la partita. Un’impresa titanica.
Ma lasciamo parlare le immagini della partita.
I Bulls partono forte sin dalla palla a due. Conducono per tutto il primo quarto. Larry Bird non sembra essere particolarmente ispirato e per lui la prima frazione si chiuderà con uno 0 su 5 dal campo. È Kevin McHale a tenere i suoi in partita. 33 a 25 Bulls, il parziale del primo quarto. Per Jordan, che agisce da vero point man della squadra, 17 punti e 2 assist.
L’inizio del secondo quarto vede MJ in panchina. Bird si sblocca. Segna un bellissimo canestro in sottomano che lascia assolutamente interdetti i suoi marcatori Banks e Macy. Suona la carica, e Boston si porta sul meno due (43 a 41), quando mancano esattamente 5 minuti alla fine del primo tempo. Il coach di Chicago Stan Albeck fa finalmente rientrare MJ sul parquet. Ed i Bulls, come per magia, allungano di nuovo. Il secondo parziale si chiude sul 58-51 per Chicago, che perde nettamente il confronto a rimbalzo (35-18 il parziale per i Celtics) ma tira con percentuali decisamente migliori dal campo.
L’inizio del terzo quarto è scoppiettante. Michael Jordan penetra, deposita a canestro e subisce fallo. Completa il gioco da 3 punti, ma dall’altra parte del campo, Bird mette un’impossibile tripla.
Un jump di Jordan nell’azione successiva, cui segue ancora una tripla di Larry. Un botta e risposta nel giro di pochissimi secondi.
Jordan continua a martellare il canestro e, con le sue peneterazioni, a riempire di falli i lunghi dei Cletics, ma il terzo quarto è marcato Bird. Alla fine del periodo i Celtics saranno sotto di tre, 91-88. Per Jordan già 36 punti e 5 assist sul box score.
Dopo 1 primo e 30 secondi dall’inizio ultimo periodo, una nuova tripla di Bird dà il primo vantaggio della partita ai Celtics. Ma Boston non riesce a scrollarsi di dosso gli avversari.
A 6 minuti dalla fine della partita, MJ brucia Ainge sul primo passo e penetra. Walton e McHale gli sbarrano la strada. Jordan riesce comunque a trovare un impossibile canestro e a subire il quinto fallo di un Walton, che di lì a pochi minuti dovrà abbandonare la partita. Micahel segna il tiro libero supplementare e riporta i suoi Bulls sotto di due. Per lui fino a quel momento 46 punti. Per Bird 34. Showtime.
A 4 minuti dal termine sul più 3 Celtics, Jordan va a stoppare Robert Parish e sul contropiede successivo, ancora il suo primo passo a bruciare Kevin McHale, quindi schiacciata in faccia a Parish e Bird. Due minuti dopo, ancora Jordan palleggia per due volte fra le gambe. Parte verso il centro e lascia andare un tiro in sospensione che bacia la retina, nonostante lo sforzo difensivo di Larry Bird.
Ad 1 minuto e 42 secondi dalla sirena sempre MJ porta avanti di due Bulls (111-113). E’ il suo cinquantaduesimo punto della partita. L’azione successiva Jordan vola ad altezze assiderali per stoppare McHale. Palla in prima fila. Sulla rimessa Dennis Johnson completa un gioco da tre punti e riporta avanti di uno i Celtics. Quindi McHale sigla il 116-113, Celtics, a 45 secondi dalla fine.
Dall’altra parte del campo, Charles Okley subisce fallo da Parish. 1 su 2 dalla linea della carità. Mancano 34 secondi alla fine e Boston conduce per 116 a 114 con palla in mano.
MJ pressa su Dennis Johnson, Bird forza un tiro, palla sul ferro. Rimbalzo di Parish, ma Jordan è ovunque. Gli ruba il pallone. Oakley se ne impossessa e dà il via al contropiede dei Bulls quando il cronometro segna 6 secondi al termine. È l’ultima possibilità per pareggiare. La palla ovviamente arriva fra le mani di Michael.
Kevin McHale è su di lui. Palleggio di Jordan, tiro, palla sul ferro. Fischio degli arbitri. Viene segnalato un fallo molto dubbio del numero 32 in maglia biancoverde. Proteste del pubblico. Proteste dei giocatori in campo. Proteste del coach.
Il Boston Garden è una bolgia, ma Jordan dalla lunetta non sbaglia: 116 a 116 e partita ai supplementari. 18 punti per Michael nell’ultimo quarto, marcato da Ainge. Quelli complessivi sono 54.
I primi due punti del supplementare sono ovviamente di Jordan. Ainge in transizione pareggia. Un tiro libero di Parish, un canestro di Woolridge ed un gioco da 3 punti di MJ portano i Bulls sul più 4, 123 a 119. Ma Boston non molla.
In rapida successione, Jerry Lee Sichting e Parish dalla lunetta ristabiliscono la parità.
Ultimo minuto. Passi fischiati a Bird. Corzinne sigla il più 2 Bulls, ma Ainge beffa MJ in partenza e impatta sul 125 pari a 12 secondi dalla fine. Lo stesso Jordan sbaglia il canestro della vittoria e sull’azione successiva, Bird tenta la tripla a fil di sirena. Ma va sul ferro.
Ancora overtime. Bird da due porta i Celtics avanti. Risponde Woolridge: 127-127. Sichting e subito dopo una tripla di Ainge portano i Celtics avanti di 5 quando mancano 1 primo e 55 secondi alla fine. Jordan accorcia per i Bulls. E’ il suo sessantunesimo punto. Record di Baylor eguagliato.
McHale sbaglia da sotto. Ancora Jordan in transizione e risultato di nuovo in parità. 131-131. Sichting mette il + 2 Celtics, a 50 secondi dalla fine. L’attacco dei Bulls è tutto sulle spalle di MJ. La difesa di Boston chiude su di lui, Jordan forza, palla sul ferro, Oakley non arriva a rimbalzo. Parish a 9 secondi dalla fine segna il 135-131 per i Celtics.
Stavolta è davvero finita.
I Bulls escono sconfitti dal Boston Garden. Ma per Michael Jordan, il cui tabellino dirà 53 minuti di gioco, 22 su 41 dal campo, 19 su 21 ai liberi, 5 rimbalzi, 6 assist, 4 falli, 3 recuperi, 4 palle perse e 63 punti, sono solo onori.
“Guardavo la partita e vedevo soltanto un Michael Jordan gigante con gli altri piccoli omini inchiodati al terreno. È stato incredibile, non ho parole per quello che ha fatto oggi” dichiara a fine partita il coach dei Celtics, K.C. Jones, che pure di cose nella sua carriera a livello NBA ne deve aver viste.
“È il più fantastico giocatore della NBA! Non credevo che qualcuno potesse giocare così contro i Boston Celtics… I think it’s just God disguised as Michael Jordan” sono le parole di Larry Bird. Dio travestito da Michael Jordan. Una frase che passerà alla storia.
Poi le telecamere ed il microfono si avvicinano a MJ. E molte cose si sarebbero dovute capire sul suo futuro dal breve e laconico commento che lascia: “Non posso credere di aver sbagliato quell’ultimo tiro!”.
Così ebbe ufficialmente inizio l’era di Michael Jeffrey Jordan.
Pubblicato per Playitusa il
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