12. La prima volta di Bird e Magic
“Championship rings… I live for them!”.
Parole e musica di Larry Joe Bird. O se preferite di Larry the Legend, come ormai era universalmente conosciuto dalle parti del Boston Garden.
Purtroppo per lui, c’era però un’altra persona che la pensava nella stessa identica maniera: Earvin Magic Johnson.
I due leader delle squadre più forte degli anni ’80, due fra le squadre più forti di ogni epoca, non avevano ancora avuto il piacere di incrociare le armi in una serie playoffs fino al 1984.
Entrambi avevano già iniziato a dominare la lega, senza mai essersi dovuti inchinare allo strapotere dell’altro. Solo e semplicemente una lunga, estenuante sfida a distanza. Il tanto atteso duello era tuttavia nell’aria. Il diritto a proclamarsi squadra regina e giocatore simbolo del decennio doveva inevitabilmente passare per le forche caudine di un incontro/scontro dal sapore deliziosamente celestiale che non poteva richiamare alla memoria degli appassionati vecchie rivlalità mai sopite.
Magic e Larry erano entrambi approdati in NBA nel 1979. Il primo scelto dai Lakers col pick numero 1. Il secondo scelto dai Celtics col pick numero 6 al draft dell’anno prima, ma rimasto al college per un’altra stagione che trasporterà tutta l’America sportiva, in un continuo crescendo di emozioni, all’indimenticabile ed indimenticata finale fra la Michigan State del “magico” col sorriso abbagliante e la Indiana State del biondo da French Link.
Al debutto nella lega, Bird portò i suoi Celtics ad un miglioramento di 32 vittorie, vinse il trofeo di rookie dell’anno (33 preferenze contro le 3 di Magic) e trascinò la squadra fino alla finale di Conference dove si dovette inchinare alla forza ed all’esperienza dei Sixers del Dottore. Magic disputò una Regular Season inferiore rispetto al rivale. Ma si esaltò nei playoffs ed in special modo in finale, dove diede vita ad una serie di prestazioni che culminarono nell’ormai mitica gara 6 allo Spectrum. Quella dei 42 punti, dei 15 rimblazi, dei 7 assist e dei 3 recuperi, sostituendo Jabbar nel ruolo di centro. Probabilmente la più grande performance di un singolo giocatore in una gara di finale.
Magic diventò l’unico giocatore della storia a vincere per due anni consecutivi il trofeo di MVP delle finali NCAA e NBA.
L’anno successivo era stato però l’anno di The Legend. Magic si era infortunato in Regular. Tornato in tempo per i playoffs era stato autore di una prova disastrosa in gara 3 del primo turno contro i Rockets ed i Lakers avevano ben presto abdicato.
Bird invece si era preso la sua personale rivincita. Aveva trascinato Boston a superare in sette agguerrite partite l’ostacolo Sixers nella finale della Eastern. Quindi aveva conquistato il suo primo anello abbattendo la resistenza degli stessi Rockets di Moses Malone. Uno a uno. Palla al centro.
Nel 1982 era tornata a risplendere la stella Magic. Bird disputò ancora un’eccezionale stagione, tuttavia la concorrenza ad est era nettamente più dura rispetto all’altra conference. I Celtics arrivarono di nuovo alla settima contro i Sixers. Ma stavolta persero. I Lakers approdarono in finale con due facilissimi sweep ed ebbero facile ragione di una Philly spossata dalle tremende battaglie della costa orientale. Due a uno. Si ricominciava.
Il 1983 era stato un anno di pausa per entrambe le superpotenze. L’aveva spuntata finalmente Philadelphia che, grazie all’arrivo di Moses Malone, condusse una stagione strepitosa e arrivò al titolo con un bilancio playoffs eccezionale. 12 vittorie ed 1 sconfitta. In finale Malone aveva dominato Jabbar, e Magic non poté nulla per fermare la corazzata targata Julius Erving.
In quattro anni, Lakers e Celtics non si erano ancora mai ritrovate di fronte nei playoffs. Si guardavano in cagnesco, si studiavano, si temevano, si rispettavano. Ma mai una sfida. Inizieranno proprio nel 1984. E sarà spettacolo puro.
La stagione che vide l’inizio della grande sfida rappresenta una pietra miliare per le sorti ed il futuro della lega. Il primo febbraio del 1984 la NBA salutò l’ascesa al potere di David Stern. Molte cose cambieranno nei mesi e negli anni a seguire per la National Basketball Assosiacion. Nel breve periodo cambierà la formula dei playoffs, con 16 squadre promosse anziché 12 e con le prime di ogni Division obbligate a giocare il primo turno in una serie al meglio delle cinque partite.
Per la prima volta nella storia della lega, una squadra per vincere l’anello avrebbe dovuto superare quattro turni di PO.
Nel lungo periodo, crescerà in maniera esponenziale l’importanza della NBA nel panorama economico e sportivo mondiale. I soldi lieviteranno a dismisura, i mercati pubblicitari si dilateranno, l’espansione farà da padrona.
I Celtics dell’84 erano una squadra profondamente diversa rispetto a quella che vinse il titolo tre anni prima.
L’ossatura, la gloriosa front line Bird-Mchale-Parish, era rimasta immutata, ma erano arrivati nuovi giocatori a rinforzare la compagine biancoverde.
Danny Ainge era stato scelto al draft del 1981, l’ottimo difensore Dennis Johnson fu prelevato da Phoenix. DJ era stato fortemente voluto da Auerbach, che lo reputava un tassello indispensabile per l’assetto difensivo della squadra. Specie quando occorreva limitare guardie come Andrei Toney dei Sixers o Sidney Moncrief dei Bucks, che ai PO dell’anno prima tanto male aveva fatto ai biancoverdi.
Era cambiato anche l’allenatore. Bill Fich, il sergente di ferro, era stato sostituito da K.C. Jones, l’ex play dei Cletics degli anni sessanta, colui che aveva avuto l’onore e l’onere di sostituire Bob Cousy al momento del ritiro.
La stagione di Boston iniziò con una colossale rissa in pre-season durante una partita con gli eterni rivali dei Sixers. Qualche secondo dopo la palla due, Malone e Maxwell furono divisi dagli arbitri mentre davano vita ad un poco elegante scambio di opinioni. Poco dopo Marc Iavaroni e Larry Bird presero a sgomitarsi. Dalle spintarelle al faccia a faccia il passo fu breve. I due si presero per le magliette, poi Bird mollò un pugno in pieno viso all’avversario. Fu il finimondo. La rissa coinvolse i giocatori in campo, le panchine, gli allenatori e persino Red Auerbach che scese dal suo posto riservato fin sul terreno di gioco e sfidò Malone a prendersela con lui: “Coraggio, colpiscimi! Colpiscimi, grosso figlio di p…!” .
Nonostante l’inizio burrascoso, la Regular Season fu contrassegnata dal dominio di Boston e di Bird che elevò ulteriormente il suo livello di gioco. Il 33 chiuse la stagione con 24.2 punti, 10.1 rimbalzi e 6.6 assist. Conquistò il suo primo titolo di MVP stagionale.
I Celtics vinsero 62 partite, dieci in più dei Sixers campioni in carica, e si presentarono ai PO come la squadra da battere ad est. Philadelphia col secondo miglior record nella Eastern, promise vendetta in finale di Conference, ma andò incontro ad una grossissima delusione.
Con somma sorpresa infatti i Sixers si ritrovarono eliminati al primo turno dai Nets al loro debutto in post-season.
Cancellata dall’agendina il problema Philly, i Cletics dovettero faticare in sette gare solo per far fuori la feroce determinazione dei Knicks di Bernard King.
In finale di conference eliminarono i Bucks di Moncrief. Quindi ebbero le porte spalancate verso la finalissima. La seconda, dopo quella vittoriosa del 1981.
Sull’altra costa, i Lakers dopo una brutta partenza vinsero 34 delle ultime 49 gare e chiusero la Regular con un bilancio di 54 vittorie, sbaragliando la concorrenza in una Western Conference, decisamente livellata.
I playoffs dei gialloviola furono ancora una volta una passeggiata di salute: un 3 a 0, un 4 a 1, ed un 4 a 2 in finale di Conference ai Suns.
Con due giorni di ritardo rispetto ai Celtics, i Lakers staccarono il biglietto per la finalissima.
Improvvisamente lo scontro che tutta l’America aspettava ormai da anni diventò realtà. Da una parte Magic, dall’altra Bird. Due giocatori agli antipodi, nel modo di vivere e nel modo di interpretare il gioco del basket.
Il ricco signore di città, amante della bella vita e delle belle donne, estroverso, guadente, dal sorriso solare, contro il contadino musone e di poche parole. Ma non solo. Da un lato Los Angeles, dall’altro Boston. Due città diverse come il giorno e la notte. Due mondi lontani migliaia di chilometri e non solo in senso geografico. La più americana contro la più europea fra le città americane. Uno scontro che si portava dietro tutti i retaggi di un passato glorioso e mai dimenticato. Dai molteplici ed affascinanti significati. L’est contro l’ovest. La tradizione contro la nuova filosofia del gioco. Hollywood contro Beantown. Lo showtime contro lo spirito da combattenti nati. L’orgoglio celtico contro lo stile losangelino.
Si salvi chi può.
La serie iniziò con la sensazione che Los Angeles, nonostante il fattore campo avverso, fosse la favorita. Lo stesso coach Jones nella conferenza stampa pre-gara 1 si ritrovò ad ammettere: “The Lakers are more talented than we are”.
Forse pretattica, forse no, tuttavia c’era qualcosa di intangibile nell’aria che poteva spostare l’ago della bilancia dalla parte bostoniana. Ed era la soggezione psicologica che i gialloviola nutrivano nei confronti dei biancoverdi. Erano passati quindici anni dall’ultimo confronto in finale fra le due squadre. Ma i numeri erano scolpiti nella roccia, indelebili. E nessuno, né a L.A., né a Boston li aveva mai dimenticati. Sette volte i Lakers avevano trovato i Celtics in finale. Sette volte erano stati sconfitti.
Domenica 27 maggio, le due squadre scesero sul parquet del Boston Garden per gara 1.
Kareem Abdul Jabbar, l’anziano capitano dei Lakers, il trentasettenne centro alla sua quindicesima stagione in NBA, segnò 32 punti, catturò 8 rimbalzi, smazzò 5 assist, diede 2 stoppate e recuperò 1 pallone. Tirò con 12 su 17 dal campo e fece 8 su 9 ai liberi. Tutto questo nonostante prima della partita fosse stato afflitto da una delle sue solite emicranie che avevano accompagnato tutta la sua splendida carriera. Kareem regalò letteralmente la vittoria ai suoi per 115 a 109. Fattore campo già immediatamente rovesciato.
Gara 2 diventava subito un’ultima spiaggia per i Celtics. Tutto potevano permettersi tranne che andare in California sotto per 2 a 0. I Lakers si appoggiarono ad uno straordinario James Worthy che giocò 47 minuti, tirò con uno stratosferico 11 su 12 dal campo e mise 29 punti. A 18 secondi dalla fine del tempo regolamentare, LA era avanti due: 115 a 113.
McHale subì fallo e andò in lunetta per portare la partita al supplementare. Ma sbagliò entrambi i liberi. Mancavano 15 secondi alla fine. La palla era dei Lakers. La vittoria adesso era davvero vicino. Probabilmente un colossale sweep era vicino.
Ma il più classico degli equivoci fra allenatore e giocatore, diede ai Celtics il la per l’inaspettato recupero.
Pat Riley aveva detto a Magic di chiamare time out nel caso McHale avesse impattato il risultato dalla lunetta. Magic lo chiamò ugualmente nonostante gli errori, favorendo Boston che, non avendo più time out a disposizione, poté organizzarsi difensivamente.
Al ritorno sul terreno di gioco, Worthy effettuò la rimessa in gioco per Magic. Il 32 gialloviola restituì il pallone a Worthy. James vide Byron Scott che tagliava in area. Provò quindi a servirlo per due punti facili, facili. I due punti che avrebbero chiuso la gara e probabilmente la serie.
Quando un recupero può valere un anello? Chiedetelo ai Celtics. Saprebbero bene come rispondervi. In gara 7 di finale di Conference del 1965 fra Boston e San Francisco sul più 1 Cetlics, a cinque secondi dalla fine, i Sixers avevano il possesso della vittoria. Sarebbe bastato dare la palla a Chamberlain per trovare due punti sicuri, quelli avrebbero voluto dire finale e quasi sicuramente titolo. Ma John Havlicek, con meravigliosa scelta di tempo, rubò il pallone agli avversari, regalando serie e anello a Boston, mentre la voce rauca di Johnny Most, leggendario telecronista dei Celtics, urlava a squarciagola “Havlicek stole the ball, Havlicek stole the ball! It’s all over!”. Un urlo passato alla storia quasi quanto quel recupero.
Diciannove anni dopo fu Gerald Henderson, guardia di riserva di Boston, a compiere il miracolo. Intercettò il passaggio di Worthy e andò da solo in contropiede a depositare due punti facili che mandarono la partita all’overtime. Negli ultimi secondi di tempo regolamentare, Magic ebbe quello che Dan Peterson definì “un totale blocco mentale” e lasciò che la sirena suonasse senza provare né un assist, né una conclusione. Nel supplementare i Celtics si imposero per 124 a 121 e tornarono in corsa per il titolo.
“Ad esser sinceri, non fosse stato per quel recupero, probabilmente saremmo andati incontro ad uno sweep” furono le parole di Larry Bird a fine gara.
“Cosa ricorderò di questa serie fra tanti anni? Semplice. Gara 2. Il passaggio di Worthy a Scott. La palla che si muove in aria lentamente. Come al replay. Henderson che scatta. Vorrei far qualcosa per impedirlo. Ma non posso far nulla!” dichiarò Pat Riley a fine serie.
La sfida emigrò al Forum di Los Angeles sul risultato di 1 a 1.
In gara 3, Magic esplose con un vero e proprio show personale. Distribuì 21 assist (record per una partita di finale) e lo showtime raggiunse una perfezione quasi chirurgica. I Lakers asfaltarono letteralmente gli avversari.
Nel terzo quarto L.A. mise un parziale di 18 a 0, frutto di 10 errori al tiro dei Celtics e di 5 palle perse. Risultato finale, 137 a 104. Uno scarto di 33 punti che era peggio di uno schiaffone sul viso per il “Celtic Pride”.
Dennis Johnson aveva segnato solo 4 punti e non era mai parso in grado di limitare difensivamente nessuno dei gialloviola. Bird esplose dopo la sonora sconfitta. Accusò la squadra di aver giocato come “un branco di… effeminati”. Quindi aggiunse: “Se non rimettiamo i nostri cuori al loro posto, non avremo speranze!”.
Il giorno dopo i giornali losangelini iniziarono a proclamare James Worthy sicuro MVP della serie al termine delle finali. In altre parole davano per scontata la vittoria gialloviola. Un errore più volte commesso dalle parti californiane.
Per gara 4, K.C. Jones, aggiustò le marcature.
Spostò DJ su Magic. Quindi fece leva sul cuore dei propri ragazzi. Ne nacque una gara leggendaria. I Lakers partirono ancora una volta molto forte, dando l’impressione di poter bissare la vittoria casalinga. Bird cercò di risvegliare i suoi compagni. Spintonò Michael Cooper che ritardava una rimessa. M.L. Carr dalla panchina urlò a squarciagola alla squadra di essere più aggressivi. McHale ubbidì quando Kurt Rambis partì solo in contropiede per andare ad appoggiare un facile layup. Kevin lo rincorse e lo stese letteralmente.
La rissa che ne nacque venne subito sedata, ma poco dopo Kareem rifilò una gomitata a Bird. I due non arrivarono alle mani solo perchè furono divisi in tempo. Si venne a creare una strana tensione in campo e sugli spalti. Ma “i meno talentuosi celtici” erano più portati alle battaglie rispetto agli avversari. In quel momento partita e serie cambiarono decisamente direzione. I biancoverdi la misero sul piano fisico. I gialloviola apparvero palesemente intimiditi.
Boston recuperò lo svantaggio. Los Angeles conduceva ancora di 5 quanda mancavano meno di due minuti alla fine.
Parish fu determinante. Intercettò un brutto passaggio di Magic. Poi mise un gioco da tre punti su rimbalzo offensivo. Lo stesso Magic sbagliò due liberi, poi Bird forzò l’overtime con un 2 su 2 dalla lunetta in un caos infernale, in cui mostrò un sangue freddo superiore al rivale.
Al supplementare Boston si portò subito avanti. Worthy sbagliò il tiro del pareggio. Cedric Maxwell gli si avvicinò e con un eloquente gesto della mano sulla gola gli fece capire che ai Lakers ormai mancava l’aria.
Bird chiuse la partita battendo in uno contro uno Magic e andando a depositare il canestro del 129 a 125.
Gara 4 fu fondamentale perché i Celtics capirono che i Lakers, nonostante il loro gioco veloce e spumeggiante, avevano un grosso limite. Mal tolleravano il gioco fisico. I Lakers potevano essere intimiditi.
Al termine della partita, Riley definì i Celtics “un branco di assassini”.
Ma la dichiarazione più spettacolare la rilasciò Cedric Maxwell: “Prima che McHale stendesse Rambis, i Lakers sembravano dei bambini incoscienti che attraversavano continuamente la strada senza guardare. Dopo il fallo hanno capito che è più conveniente fermarsi, spingere il bottone, aspettare il verde del semaforo e guardare da una parte e dall’altra prima di attraversare”.
Due partite al Garden, due partite al Forum e serie sul 2 a 2. Le vittorie dei Celtics erano maturate in rimonta ed entrambe all’overtime. Si tornò in una Boston boccheggiante e percorsa da una forte ondata di caldo per giocare gara 5.
Nel vetusto Garden, impianto ancora senza aria condizionata, si raggiunse quel pomeriggio la temperatura di 36°. Jabbar più volte fece ricorso alla mascherina dell’ossigeno durante la partita. I ventilatori ronzavano furiosi ma rigettavano solo aria bollente. In quel clima rovente in tutti i sensi, i Celtics giocarono la miglior partita della serie.
Bird segnò 34 punti, frutto di un 15 su 20 al tiro. Dennis Johnson siglò 22 punti. Boston si impose per 121 a 103 e per la prima volta si ritrovò in vantaggio nella serie.
Los Angeles era spalle al muro. I Celtics sembrarono poter chiudere la faccenda in gara 6 al Forum. Ma Jabbar segnò 30 punti e prese 10 rimbalzi.
I gialloviola recuperarono nel terzo quarto uno svantaggio di 11 punti e si imposero per 119 a 108. Un ottimo Bird (28 punti, 17 rimbalzi, 8 assist e 3 stoppate) non era bastato ai suoi. Tutto era rimandato alla decisiva gara 7. Nel Massachussets.
Lakers da un lato, Celtics dall’altro. Una serie finale. Una gara 7. Il Boston Garden. Nessuno avrebbe potuto aspettarsi di meglio. Nello spogliatoio biancoverde, il clima che regnava era di estrema fiducia. Cedric Maxwell, poco prima di scendere sul parquet, dichiarò ai suoi compagni di saltare sulle sue spalle. Era pronto a portarli alla vittoria. E lo fece.
A metà tempo, Maxwell aveva messo 11 canestri su 13 tentativi. Terminò la partita con 24 punti, 8 rimbalzi e 8 assist. Bird realizzò 20 punti e catturò 12 rimbalzi. Parish, 14 punti e 16 rimbalzi. DJ 22 punti. I Lakers si ritrovarono ad inseguire per tutta la gara. Rimontarono dal meno 14 fino a portarsi sul meno 3 quando mancava poco più di un minuto da giocare: 105 a 102.
Magic aveva il possesso del possibile pareggio. Ma Dennis Johnson gli rubò la sfera. La palla fu recuperata da Michael Cooper che servì ancora Magic. Il numero 32 avanzò verso l’area avversaria, vide Worthy sotto canestro. Ma ancor prima che riuscisse a servirlo, Maxwell andò a rubargli nuovamente la palla. La partita dei Lakers finì in quel momento.
I Celtics si imposero per 111 a 102. Arrivò il titolo.
Larry bird fu eletto MVP della serie con una media di 27.4 punti, 14 rimbalzi, 3.2 assist e 2 recuperi per partita. Ma la prestazione di Maxwell in gara 7 ed il recupero di Henderson in gara 2 furono i due fattori che regalarono l’anello ai Celtics. Il secondo dell’epoca Bird.
Quella stagione si chiuse così.
Con il popolo biancoverde ancora una volta in delirio.
Adesso la situazione era di assoluta aprtià. Due anelli per Boston e Bird. Due anelli per LA e Magic.
Ma ancora per poco.
Il meglio doveva ancora arrivare… questo era solo l’inizio…
Pubblicato per Playitusa il
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