15. Ultimi bagliori di leggenda
Dopo la vittoria dei Lakers al Boston Garden in gara 6 di finale del 1985, il grande tabù dell’invincibilità dei prodi celtici in finale era stato finalmente sfatato.
La stagione successiva fu caratterizzata ancora una volta dallo scontro a distanza fra Lakers e Celtics. Ma l’epilogo stavolta risultò completamente diverso. E quella divenne la stagione dell’apoteosi biancoverde.
The Legend vinse per il terzo anno consecutivo il premio di MVP della lega. Il suo rivale Magic era ancora a zero.
Boston vinse 67 partite, record di franchigia migliorato e terzo miglior record nella storia della lega dopo il 69-13 di L.A. del 1972 ed il 68-14 di Philadelphia nel 1967. Centro e giocatore simbolo di entrambe le squadre era Wilt Chamberlain.
La cavalcata vincente dei ragazzi del Massachussets non ebbe alcun tipo di intoppo neanche in dei playoffs contraddistini da incredibili exploit, improbabili sorprese, piacevoli conferme e tragiche debacle. Tre furono gli attimi storici della post-season 1986.
– I 63 punti di Jordan al Garden, che non bastarono ai suoi Bulls per evitare la scontatissima eliminazione contro la corazzata biancoverde al primo turno.
– Il jump di Ralph Sampson con cui i Rockets eliminarono i Lakers in gara 5 di finale della Western Conference.
– Infine il sedicesimo anello per Boston, con Bird ancora MVP delle finali ed immenso profeta della squadra. Larry si consacrava, senza ombra di dubbio, miglior giocatore della lega, vincendo ormai per distacco il confronto a distanza con Magic Johnson.
Quello che nessuno poteva però sapere è che la splendida vittoria di Boston contro Houston in finale, il momento più bello, nonchè l’apoteosi per i Celtics targati Bird, sarebbe coinciso anche con l’ultimo titolo della franchigia. L’ultimo MVP per Bird. Gli ultimi bagliori di una immensa Leggenda.
Da lì in avanti la stella più splendente sarebbe stata quella di Magic, una stella, i cui raggi più luminosi dovevano ancora essere emanati.
La stagione 1986-’87 vide, per la prima volta dai tempi di Chamberlain, un giocatore superare la soglia dei 3000 punti. Si trattava di Michael Jeffrey Jordan, alla sua terza annata in NBA, seconda completa. MJ realizzò 37.1 punti per gara. Era dal 1963, che non si registrava un simile score.
L’altro grande protagonista della season fu proprio Magic.
Jabbar si avviava ormai a festeggiare il suo quarantesimo compleanno. Per forza di cose non era più il superbo giocatore di soli due anni prima. Ormai viveva solo di sky hook, quella meravigliosa arma che lo aveva reso virtualmente instoppabile e gli aveva persino permesso di allungare la carriera.
Coach Pat Riley chiese al suo play di prendere in mano la squadra, di diventrane il leader in campo e fuori. Magic rispose siglando in stagione il suo record personale di punti (23.9 ad allacciata di scarpe) e guidando la lega negli assist (12.2). I Lakers vinsero 65 partite in season. Nei playoffs distrussero letteralmente la non troppo agguerrita concorrenza della Western, presentandosi alla finalissima con un record più che eloquente: 11 vittorie, 1 sola sconfitta.
Dall’altra parte del Grande Fiume, i Celtics ebbero una stagione molto più travagliata. Gli infortuni cronici di Bill Walton e di Scott Wedman portarono la magica front-line Bird-McHale-Parish a giocare una media di oltre 37 minuti per gara in tutta la stagione. Ainge ne giocò oltre 35. Dennis Johnson, 38. I biancoverdi vinsero 59 partite, 8 in meno rispetto alla stagione precedente, perdendo dopo tre anni, il primato della Regular Reason.
L’est rimaneva una conference notevolmente più forte ed i playoffs per i celtici furono una guerra continua. I biancoverdi non avevano fatto in tempo a perdere l’eterna rivale Philly, che già una nuova agguerrita contendente spuntava all’orizzonte. I Detroit Pistons avevano vinto 52 gare in stagione regolare.
Superarono al primo turno Washington per 3-0. Al secondo turno, sorprendentemente, rifilarono un secco 4-1 agli Hawks ed aspettarono in finale di conference la vincente fra Bucks e Celtics.
Detroit era una squadra giovane e combattiva. Faceva della difesa la sua principale arma di forza. Era guidata dal maestro Chuck Daly ed il suo leader in campo era il superbo play Isiah Lord Thomas III. A far da contorno, c’erano giocatori che univano un mix di tecnica, forza fisica, ottime capacità difensive e notevole cattiveria agonistica, quali Bill Laimbeer, Rick Moharn, Joe Dumars, Vinnie Johnson, il top scorer Adrian Dantley, John Salley ed il rookie Dennis Rodman.
Ben presto quella squadra sarebbe divenuta famosa in tutto il mondo con il nome di Bad Boys.
Boston impiegò 7 gare per domare la resistenza dei Bucks di Sidney Moncrief, quindi si ritrovò a giocare la finale di Conference contro Detroit.
La verve e la voglia dei Pistons contro il talento e l’esperienza dei Cetlics. In pochi potevano immaginarlo, ma ne asarebbe nata una serie storica. Tirata, combattuta, sofferta, fatta di scontri davvero duri e di sonore scazzottate (una fra Parish e Laimbeer, particolarmente violenta).
Come da copione, Boston vinse le prime due gare al Garden, trascinata da Bird. Ma a Detroit successe l’incredibile: 122 a 104 il risultato di gara 3. Addirittura 145 a 119, quello di gara 4. I Pistons avevano letteralmente asfaltato i Celtics. I ragazzi del Michigan realizzarono che ce la potevano fare.
Giocarono una gara 5, al Boston Garden, intensa ed agguerrita fin dal primo minuto. Ad una sparuta manciata di secondi dalla fine, Boston era sotto di uno e Detroit aveva l’ultimo possesso. Poteva essere la fine di ogni speranza per la gloriosa squadra in maglia verde. Perdere quella gara 5 avrebbe significato andare a giocare la decisiva gara 6 a Detroit, dove i Celtics erano già stati massacrati nelle due precedenti partite.
Isiah Thomas effettuò una rimessa in gioco per Bill Laimbeer, ma un secondo prima che la palla arrivasse fra le mani del centro dei Pistons, Bird scattò e rubò la sfera. Sembrò quasi che lo slancio per il recupero potesse trascinare il biondino in maglia 33 fuori dal campo, ma Bird, in una maniera incomprensibile ai comuni mortali, riuscì a mantenere un precario equlibrio sul filo della linea e a servire Dennis Johnson lanciato in transizione per il canestro della vittoria: 108-107, Celtics. Serie sul 3 a 2.
Quel recupero rimane uno dei momenti più intensi ed importanti della storia dei Celtics. Al pari di quello di Havlicek nel 1965 o di quello di Henderson nel 1984.
Fu dopo questa partita che il giovane rookie Dennis Rodman, dichiarò: “Bird sarebbe stato soltanto un buon giocatore come tanti, se fosse stato nero”.
Alla frase del giovane Rodman nessuno prestò troppa attenzione. Sembrò a tutti la sparata idiota e razzista del classico ragazzo dal passato difficile. Ma quando a dire che la pensava alla stessa maniera fu proprio la stella della squadra, quell’Isiah Thomas, icona e simbolo della NBA nel mondo, quasi al pari degli stessi Magic e Bird, scoppiò la polemica.
Addirittura la NBA arrivò in seguito a costringere Thomas a volare fino a Los Angeles, dove Bird stava giocando le finali, per chiedere scusa all’avversario.
In piena bufera, i Celtics persero gara 6 a Detroit. La serie andò sul 3 a 3. Tutto era rimandato alla decisiva gara 7.
Al Garden, Bird si prese la sua personalissima rivincita. Una rivincita da campione, bianco o nero che fosse: 37 punti, 9 rimbalzi, 9 assist e 5 recuperi, dirà il suo tabellino al termine di quella incredibile e tiratissima partita in cui le squadre rimasero incollate fino agli ultimissimi, decisivi secondi. Un’autentica battaglia. Punto dopo punto, canestro dopo canestro, le due squadre sembravano incapaci di allungare sull’avversario. Ogni possesso diventava decisivo. Ogni palla vagante diventava oggetto di contese, tuffi, mischie, scontri al limite del regolamento.
Il primo mini-parziale arrivò solo nel secondo quarto, quando Detroit riuscì a portarsi avanti di 4 punti (43 a 39). Ma tre canestri consecutivi di Boston ed un jump di Vinnie Johnson portarono nuovamente il risultato in equlibrio: 46 a 45, Detroit. Poi una tripla di Joe Dumars. E Detroit era di nuovo sul più qattro. Un vantaggio che sarebbe durato poco.
Ad inizio terzo periodo le due squadre erano ancora lì, appiccicate (61-61). A tre minuti dalla fine del quarto, Boston guidata da un Bird che stava decisamente prendendo in mano le redini del gioco, provò a spezzare la partita, portandosi sul 77 a 72. Ma, subito dopo, McHale commise il quarto fallo e si accomodò sul pino.
La situazione sotto canestro diventava davvero critica per i Celtics. Parish zoppicava vistosamente già da tempo per via di un contatto con Rick Mahorn e gli scontri che si erano susseguiti nel corso della partita, certo non ne avevano agevolato il recupero. The Chief si vide costretto a seguire McHale in panchina. A prenderne il posto in campo, il mitico ed anziano Bill Walton. Senza i due terzi della front line titolare, Boston cominciò a cedere.
Detroit recuperò il piccolo svantaggio e si portò sull’81 a 79. A meno di un minuto dalla fine del terzo periodo, si accese una combattuta mischia per un rimbalzo in piena area celtica. I due compagni di squadra, Adrian Dantley e Vinnie Johnson, finirono per scontrarsi violentemente, testa contro testa. Vinnie si rialzò stordito e dolorante. Adrian rimase a terra. Lo toccarono, lo scossero, ma il giocatore era immobile riverso sul parquet incrociato del Boston Garden. Dantley venne prontamente messo su una barella ed allontanato dal terreno di gioco. Detroit perdeva il suo miglior realizzatore.
Mentre le telecamere si soffermavano sulla porta chiusa dello spogliatoio dei Pistons, dove Dantely era stato condotto, il terzo periodo si chiudeva sull’81 pari. Ancora perfetto equilibrio.
Il nome della squadra che avrebbe raggiunto i Lakers nella finalissima, sarebbe stato deciso negli ultimi, terribili 12 minuti di gioco.
I Pistons provano a ripartire forte. Laimbeer apre l’ultimo periodo con un jump dalla distanza. Una palla persa di McHale in fase di attacco e Detroit parte in contropiede. Dai e vai tra Rodman e Thomas e schiacciata del “Verme” sulla testa di Bird. Nell’azione immediatamente successiva McHale commette il quinto fallo su Salley e torna a sedersi in panchina, lasciando il posto sul terreno di gioco a Sam Vincent.
John Salley mette i due liberi e porta il risultato sull’89 ad 85, più quattro per Detroit.
Vincent sbaglia un facile canestro in lay up e Detroit vola in contropiede. Ha la possibilità del più 6, adesso. Ma Thomas per due volte e Mahorn una volta, sbagliano da sotto.
Bird li punirà nella transizione successiva riportando i suoi sotto di due. I Celtics sull’orlo del crollo, risorgono.
Ancora Bird impatta il risultato e Dennis Johnson firma il sorpasso, 91 ad 89. Mancano meno di 8 minuti alla fine. Bill Laimbeer si siede in panca, per falli. Fuori Dantley, fuori Laimbeer, tutto il peso dell’attacco dei Pistons si riversa sulle spalle di Isiah Thomas. Il play proveniente da Chicago risponde presente. Firma 3 canestri di seguito, l’ultimo in splendida penetrazione, andando ad affrontare tutta la difesa dei Celtics ed impattando nuovamente il risultato a quota 95. Sull’altro alto del campo, Bird in splendido jump riporta i suoi avanti. Poi ancora Thomas in penetrazione, solo contro il mondo. Dennis Johnson stavolta vola a stopparlo. Thomas ci riprova l’azione successiva. Penetra, finge di voler andare fino in fondo, poi smazza in volo uno splendido assist per Rick Mahorn che impatta ancora sul 97 a 97.
Mancano cinque minuti alla fine.
Nell’azione successiva ancora Bird firma in gancio di tabellone il più 2 per Boston. Ancora Thomas pareggia, dopo un errore di Dumars. È uno scontro fra fuoriclasse.
Sul 99 pari, rientra in campo Kevin McHale. E si vede.
I Celtics si insidiano nell’area avversaria. Fosse stata una partita di clacio, si sarebbe potuto parlare di vero e proprio assedio. Sbagliano cinque conclusioni consecutive, ma catturano 5 rimbalzi offensivi di seguito. Alla sesta conclusione è Danny Ainge a mettere la tripla del 102 a 99.
Tre minuti alla sirena. Time out Detroit.
Al rientro in campo, Isiah riporta i suoi sotto di 1, ma ancora uno strordinario Bird li ricaccia indietro: 104-101.
Mahorn mette un libero. Boston sbaglia da tre e Isiah vola tutto solo in contropiede per il pareggio. Ainge lo rincorre e lo placca letteralmente. Storie tese fra i due, con Danny che subito dopo il placcaggio protegge il volto con le mani, temendo la reazione dell’avversario.
Thomas va in lunetta. Mette il primo libero. Sbaglia il secondo.
Bird cattura il rimbalzo. Boston parte in contropiede. Larry serve un meraviglioso assist per DJ che segna.
Un primo e ventitré secondi al termine. Boston 106, Detroit 103.
Thomas prova una nuova penetrazione ma perde la palla. McHale sbaglia da sotto. Rimbalzo di Laimbeer. Time out Detroit.
Cinquantacinque secondi alla fine, un’eternità.
Joe Dumars in jump sigla il 106 a 105. Rimessa biancoverde. Thomas va a pressare Dennis Johnson che serve Ainge.
Il numero 44, fronte a canestro, lascia partire un morbido tiro. Solo rete. Venticinque secondi alla fine: 108 a 105.
Isiah prova la tripla del pareggio, ma la sfera balla sul ferro e quando il rimbalzo è preda delle lunghe mani di McHale, per Detroit è davvero finita. Gli ultimi secondi di partita sono una serie interminabile di liberi per entrambe le squadre che fisseranno il risultato sul 117 a 114 per Boston.
È finale per la squadra in maglia biancoverde. La quarta consecutiva.
Ad attenderli, gli eterni rivali di Los Angeles. Bird troverà l’amico-nemico Magic Johnson, al massimo del suo splendore. Sarà l’ultima finale fra le due squadre simbolo degli anni ‘80.
Tre titoli per L.A., tre titoli per Boston. Il diritto a proclamarsi squadra regina degli anni ‘80 passa inevitabilmente per le forche gaudine di questo nuovo, meraviglioso duello. All’ultimo canestro.
Pubblicato per Playitusa il
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