1. The start of it all
In principio era Mikan.
George Lawrence di nome. Mr Basketball per soprannome.
Occhialuto viso pallido di 6’10’’ per 245 libbre. Nato nell’Illinois nel 1924, college DePaul. Sette stagione in NBA ai Minneapolis Lakers, cinque titoli, 23.1 punti e 9.5 rimbalzi in carriera.
Inarrestabile per i suoi tempi. Con lui nacque il concetto di giocatore dominante.
Mikan appese le scarpe al chiodo nel 1956. Quattro anni dopo i Lakers lasciavano le fredde montagne del Minnesota per il caldo della costa californiana. Los Angeles ne era la nuova patria.
In seguito venne Pettit.
Robert Lee di nome. Per tutti Bob o anche Big Blue, perché indossava sempre lo stesso cappotto blu notte. Faro dei St.Louis Hawks, fu l’unico a sconfiggere l’imbattibile Boston degli undici titoli in una serie finale. Il primo MVP di Regular Season di sempre. Undici volte All Star, dieci primi quintetti di lega consecutivi, tuttora record NBA.
Poi fu la volta di Robert Joseph Cousy, detto Bob, e William Felton Russell, detto Bill. Ed il basket non fu più lo stesso.
Non più leggenda dagli sfumati contorni, non più atavica preistoria. Per l’NBA l’arrivo del duo in maglia biancoverde di Boston fu come l’invenzione della scrittura: l’ingresso nella Storia.
– Stagione 1956-57: Bill Russell è un rookie. Bob Cousy è al suo settimo anno. Boston sale sul tetto del mondo per la prima volta.
– Stagione 1959-60: Una matricola da Kansas segna 37.6 punti e cattura 27 rimbalzi a partita. Vince il trofeo di rookie dell’anno e quello di miglior giocatore di stagione. Il suo nome è Wilt Norman Chamberlain, la più devastante macchina da canestri che la pallacanestro abbia mai conosciuto.
– Stagione 1961-62, la nostra stagione.
I Celtics vengono da tre titoli consecutivi, quattro negli ultimi cinque anni. In Regular Season, Russell segna 18.9 punti e cattura 23.6 rimbalzi a partita. Porta Boston a raggiungere il traguardo delle 60 vittorie, si aggiudica per il secondo di tre anni consecutivi, il trofeo di MVP di stagione.
Ad ovest del Mississipi ci sono i Los Angeles Lakers. Il quarto anno Elgin Baylor ne è il leader, Jerry West la degna spalla.
West, una superba guardia bianca, le cui movenze e la cui sconfinata eleganza finiranno per essere immortalate nel logo della NBA. Baylor, una guardia-ala atleticamente strepitosa, un Micheal Jordan di quarant’anni prima per l’innata capacità di stare in aria sempre più degli altri ed inventare canestri impossibili per i comuni mortali.
In stagione regolare Baylor strabilia l’America sportiva realizzando la stratosferica cifra di 38.2 punti a partita, ma arriva secondo nella classifica dei realizzatori.
Chamberlain, l’ex rookie di cui sopra, incontenibile centro dei Philadelphia Warriors, ne mette qualcosa come 50.4 a partita. Una fredda notte di inizio marzo ad Hershey contro i New York Knicks scrive 100 sul proprio box score.
Baylor disputa solo 48 partite in stagione. Sta svolgendo il servizio militare ed è disponibile a scendere in campo solo nei weekend. Nelle partite in cui manca il comando della squadra passava per le mani di un Jerry West al suo secondo anno.
“Sentivo di non essere abbastanza sicuro di me. Declinavo volentieri le responsabilità offensive sulle spalle di Elgin, appena era possibile” le parole con cui, anni dopo, Jerry ricorderà i suoi primi anni nella lega.
Los Angeles vince 54 partite. In finale di Division elimina Detroit e si presenta alla finalissima aspettando che si concluda la singolar tenzone fra Celtics e Warriors.
I Lakers speravano nella vittoria dei Celtics perché, privi di un centro di livello, se potevano sperare di limitare offensivamente Russell, neanche la più flebile speranza avevano contro l’impressionante Chamberlain.
I Warriors di Chamberlain ed i Celtics di Russell ingaggiarono uno dei loro innumerevoli e leggendari duelli nella finale della Eastern Division.
Da un lato una squadra che puntava tutto sulle impareggiabili qualità offensive del suo leader, dall’altro la pluridecorata Boston che non aveva un uomo fra i primi 10 realizzatori della lega, ma aveva Cousy in play e la superba difesa di Russell.
Il grande confronto si decise solo alla settima terribile partita. Sam Jones, a due secondi dalla fine, mise il jump che regalò la vittoria per 109 a 107 a Boston. Bill ne usciva nuovamente vincitore. Wilt ancora una volta sconfitto.
Adesso era finale. Era Celtics-Lakers per la prima volta nella storia della NBA. The start of it all.
E fu subito autentica, appassionante battaglia.
In gara 1 al Garden si impose Boston per 122 a 108. Ma i Lakers impattarono la notte dopo, vincendo per 129 a 122 gara 2 e ribaltando il fattore campo.
La serie si trasferì a Los Angeles dove oltre 15.000 spettatori assistettero a gara 3. Boston condusse per larghi tratti di partita, ma a pochi secondi dalla fine, West impattò il risultato sul 115 pari. Sulla rimessa Sam Jones cercò di pescare Cousy, ma ancora West intercettò il passaggio e volò in contropiede per depositare il canestro della vittoria: 117 a 115. Serie sul 2 a 1, Los Angeles.
Gara 4 diventava subito una sorta di ultima spiaggia per Boston. Un’altra sconfitta ed il sogno del quarto titolo consecutivo sarebbe diventato puramente utopistico.
I ragazzi in maglia biancoverde non tradirono le attese. Si imposero per 115 a 103 in trasferta e riportarono la serie a Boston sul risultato di 2-2. Ancora nulla di particolare era successo.
Ma gara 5 al Garden era alle porte. Fu la grande notte di Elgin Baylor. Solo lui.
Segnò 61 punti, tuttora record per una partita di finale e fino al 1986 con Jordan, record per una partita di playoffs. Catturò 22 rimbalzi. Non sbagliò assolutamente nulla.
“Una macchina” commenterà a fine gara il suo marcatore Satch Sanders.
Anni dopo un giornalista chiese ad Elgin cosa ricordasse di quella magica notte di gara 5:
“…Che vincemmo quella partita. Non mi sono mai fermato a pensare ai punti che ho realizzato”, la sua risposta.
I Lakers, guidati dallo strepitoso Baylor, si imposero sul parquet incrociato del Garden per 126 a 121. Adesso avevano una gara 6 casalinga per chiudere i conti. Fallirono.
Boston si aggiudicò la partita per 119 a 105. E fu gara sette.
Mercoledì 18 aprile 1962 i gialloviola di Los Angeles si presentarono al Boston Garden per la sfida decisiva. La sfida che avrebbe significato anello per una delle due squadre. Lo storico poker consecutivo per i Celtics o il primo agognato titolo per i Lakers da quando si erano trasferiti a L.A.
All’intervallo i Celtics conducevano per 53-47, nonostante Sam Jones avesse tirato con un pessimo 1 su 10 dal campo. Boston mantenne il vantaggio per larga parte del quarto successivo. Quando mancava poco più di un minuto alla fine del terzo periodo conducevano 73-67. Poi Jerry West siglò 7 punti consecutivi, impattando la partita sul 75 pari con cui le squadre andarono all’ultimo quarto di gioco.
Gli ultimi terribili 12 minuti. E forse non sarebbero bastati.
A 6 minuti dalla fine il risultato era fermo sull’88 pari. Ma i giocatori in maglia biancoverde si ritrovarono ben presto con gravi problemi di falli nel tentativo di arginare il dirompente Baylor, già a qutota 38 punti.
Tom Heinsohn, Sanders e Jim Loscutoff uscirono per falli in rapida successione. Russell reagì portando avanti i suoi sul 96 a 91. West rispose con un jump e Baylor mise un libero per il 96 a 94. Due tiri liberi di Russell ed una sospensione di West fissarono il risultato sul 98 a 96 per Boston. Ma a 18 secondi dalla fine i Lakers impattarono il risultato sul 100 pari.
I Celtics avevano il possesso della vittoria. Frank Ramsey provò un gancio ma lo sbagliò. Rimbalzo di Los Angeles e time out. Cinque secondi alla fine. Adesso il possesso della vittoria ce l’avevano i Lakers. Baylor era la prima opzione. West la seconda. Non esistevano terze opzioni.
Hot Rod Hundley, talentuosa guardia-ala dei Lakers, ricevette la rimessa gialloviola. West e Baylor era coperti. Selvy era libero perché Cousy aveva raddoppiato su West. Hundley decise di andare dall’uomo libero. Selvy ricevette palla e tirò da circa 8 passi, nonostante il frettoloso tentativo di recupero difensivo di Cousy. Un tiro che 8 volte su 10 metteva. Lo sbagliò. Baylor volò a rimbalzo ma questi finì preda delle mani di Russell. Overtime.
“Avrei ceduto tutti i miei punti per quell’ultimo, decisivo canestro”, le parole di Selvy a fine gara.
Nel supplementare Sam Jones segnò 5 dei suoi 27 punti complessivi. I Celtics si imposero per 110 a 107, guidati da un Russell letteralmente strepitoso: trenta punti e quaranta rimbalzi per lui.
Il quarto anello consecutivo, lo storico poker, era arrivato.
Bob Cousy, ormai trentaquattrenne, al termine della partita annunciò che la successiva sarebbe stata la sua ultima stagione nella lega. In molti pesavano che la dinastia celtica era ormai giunta al capolinea.
“I Boston Celtics sono una squadra vecchia, nelle cui vene varicose scorre ormai solo sangue stanco” dichiarò Sport Illustrated qualche mese dopo quella storica vittoria in gara 7. Un’orazione funebre in piena regola.
Inutile persino precisare che a quell’anello ne sarebbero seguiti altri 4 consecutivi ed altri 6 totali, prima che Russell decidesse di appendere le sue magiche scarpe al chiodo.
Pubblicato per Playitusa il
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