16. Quando lo Sky-Hook è junior
Siamo ad inizio giugno del 1987. Il due per la precisione. Un martedì qualunque. Boston Cetlics e Los Angeles Lakers danno il via alla loro ultima grandissima sfida. È la fine di un’era. Forse del periodo più bello della storia dell’intera lega.
Gli anni ’80, la gloriosa epoca che aveva riportato fasto e splendore nella NBA, stavano per giungere al loro capolinea. Lakers e Celtics avevano dominato per tutto il decennio, ma in realtà si erano incontrate in finale solo due volte. Una vittoria a testa. Ora si apprestavano alla terza e decisiva sfida.
Quel due giugno in pochi potevano saperlo, ma sarebbe stata l’ultima. L’ultima sfida fra Los Angeles e Boston. L’ultima fra Magic e Bird.
Fra le due squadre si stava scavando un incolmabile solco che aveva radici lontane. La superiorità della Eastern Conference e le durissime battaglie che i Celtics avevano dovuto affrontare ogni singolo anno ad est, avevano logorato la squadra bianoverde molto più di quanto non fosse successo ai gialloviola.
Gli infortuni, alcune scelte discutibili ed una buona dose di sfortuna avevano iniziato già da quell’anno a creare una forbice fra le due contendenti. Una forbice che si sarebbe ulteriormente allargata nella stagione successiva ed in quelle rimanenti dell’epoca Magic-Bird.
I Celtics non avrebbero più rivinto il titolo, non sarebbero più arrivati in finale. I Lakers erano prossimi a realizzare una storica doppietta per conto di Pat Riley. Una doppietta che non riusciva in NBA da diciotto anni.
Già alla finale del 1987, Boston ed L.A. si presentarono con stati d’animo e situazioni completamente differenti. Boston aveva piegato solo alla settima tiratissima partita la dura resistenza dei futuri bi-campioni di Detroit, in finale di conference. Los Angeles veniva da un facile sweep ai Supersonics.
Boston aveva impiegato diciassette partite per giungere a quella finalissima. Los Angeles appena undici.
Bird aveva appena perso il trofeo di MVP di stagione dopo tre vittorie consecutive. Magic aveva appena conquistato il suo primo. Dai tempi del grande Oscar Robertson, ventirè anni prima, una guardia non vinceva l’ambito premio.
Per L.A., la Regular ed i playoffs erano stati un’autentica cavalcata vincente. 65 vittorie in stagione, 11 vittorie su 12 partite in post-seson. Jabbar stava per compiere 40 anni, negli ultimi dodici anni era stato il fulcro dell’attacco dei Lakers, ogni singolo pallone era passato dalle sue mani. Ora non più. Gli acciacchi, l’età non più verde, ne avevano ridotto l’utilizzo. Ora tutto passava dalle magiche mani del play col numero 32 e, come seconda opzione, James Worthy.
A febbraio, i gialloviola avevano aggiunto un tassello importante in squadra. Da San Antonio era arrivato Mychal Thmpson, una solida power forward, molto utile nelle battaglie sotto canestro in grado di dare sostanziosi minuti di riposo al vecchio Kareem. In più Thompson era un ottimo difensore in post. L’arma adatta per contrastare lo strapotere in post basso di Kevin McHale. I due avevano giocato anche al college insieme. Thompson conosceva bene il rivale. La sua presenza risulterà fondamentale in finale.
La stagione dei Celtics era stata invece costellata da infortuni e tragedie. Dopo il successo dell’anno prima, ottenuto sbranando letteralmente concorrenza ed avversari, Boston sembrava la squadra più accreditata per la storica doppietta. Ma subito dopo la finale vittoriosa con Houston, una tragedia era venuta a turbare le festività biancoverdi. La prima scelta Len Bias (seconda assoluta) era morto la notte dopo il draft per overdose di coaciana. Molti ritengono che le sfortune degli anni successivi dei Celtics abbiano avuto inizio proprio quella notte.
Per tutta la season, Bill Walton era stato afflitto dai suoi cronici infortuni, Jerry Sicthing afflitto da un misterioso virus e Scott Wedman aveva giocato poco e male, ancora a causa di infortuni. La stagione dei Celtics era stata stressante.
Bird, McHale, Parish, Ainge e DJ si erano ritrovati a giocare quasi 38 minuti ogni singola partita, senza possibilità di rifiatare, per mantenre la squadra ai vertici della Eastern.
I playoff erano stati massacranti. Sette tiratissime gare per piegare Milwaukee. Altre sette contro i Pistons. La battaglia con Detroit era costata a Parish un brutta botta in gara 7. Lo stesso McHale ne era uscito dolorante.
I Celtics si presentarono a quella finale col fiato corto e le ossa rotte. Eppure c’era in palio qualcosa di ben più importante di un “semplice” anello, per poter alzare bandiera bianca. Il diritto a proclamarsi squadra regina degli anni ‘80.
Gara 1 al Forum di Los Angeles fu subito showtime.
Magic realizzò 29 punti, 13 assist, 8 rimbalzi e non perse alcun pallone. Worthy realizzò 33 punti e catturò 9 rimbalzi. I Lakers si portarono sul più 35 nel secondo quarto ed arrivarono all’intervallo sul più 21. La rimonta dei Celtics fu inesorabile, ma inutile: 126 a 113 L.A., il risultato finale.
In gara 2, K.C. Jones provò ad aggiustare gli equilibri difensivi della squadra. Spostò Danny Ainge su Magic e la mossa parzialmente pagò. Ma fu Michael Cooper a risolvere quella partita. Mise 6 triple su 7 nel secondo quarto. Jabbar segnò 23 punti con 10 su 14 al tiro. Magic 22 punti, conditi da 20 assist. Solo nel secondo quarto aveva smazzato 8 assist, record per una finale NBA. La partita si chiuse sul 141 a 122. Boston perse la sesta partita esterna consecutiva in quei palyoffs.
Gara 3. Al Boston Garden.
I Celtics erano spalle al muro. Come si dice? Mai sottovalutare il cuore di un campione. In questo caso, di una squadra di campioni. McHale segnò 21 punti e prese 10 rimbalzi, limitò Worthy a 13 punti. Bird realizzò 30 punti. Dennis Johnson 26. Ma la vera sorpresa di quella partita fu Greg Kite, il centro di riserva della squadra che aveva giocato 10 minuti a partita in Regular segnando 1,7 punti e catturando 2,3 rimbalzi. Quella sera Kite giocò venti minuti di altissimo livello. Prese 9 rimbalzi, stoppò un facile layup di Magic. Difensivamente spostò l’inerzia della gara. Nel secondo quarto i Celtics tirarono con 17 su 21 dal campo. Boston si impose per 109 a 103.
“Spero solo che meglio di così non possano giocare” dirà Jabbar a fine partita.
Solo per un attimo sembrò che la serie potesse essere ancora in bilico. Solo per un attimo sembrò che il vecchio cuore celtico potesse ancora dire la sua. Solo per un attimo. Perché due giorni dopo arrivò gara 4. E Magic Johnson scriverà la storia. La sua.
Bosotn era sopra di 16 punti all’intervallo. Los Angeles diede il via ad una furiosa rimonta. Le gambe ed il fiato iniziavano a scarseggiare fra i biancoverdi. A 3 minuti e mezzo dalla sirena i Lakers erano sotto di appena 8 punti. La rimonta fu completata a mezzo minuto dalla fine. Boston 103, Los Angeles 102 e possesso della sfera.
Ci fu un time out per i gialloviola. Al ritorno in campo pick and roll fra Magic e Jabbar, il più semplice dei giochi made in NBA, il più difficile da marcare.
Canestro Lakers che ora si ritrovavano sul più 1.
Dodici secondi alla fine e Larry Bird fece partire la tripla. Solo rete. Boston avanti per 106 a 104. I Lakers rimisero in gioco la sfera. La palla arrivò ancora a Jabbar. Il centone gialloviola subì fallo.
Mise il primo libero: 106-105.
Sbagliò il secondo.
McHale volò a rimbalzo. Thompson lo spinse leggermente da dietro. Kevin perse la palla che volò fuori dal terreno di gioco. Per gli arbitri era stato McHale l’ultimo a toccare.
Nonostante le proteste dei biancoverdi e gli ululati del pubblico in contestazione, Los Angeles si apprestò alla rimessa.
Magic ricevette palla e penetrò in area leggermente spostato sulla destra. Kevin McHale si alzò per ostruirgli la visuale del canestro.
Magic lo evitò, accentrandosi. Parish e Bird andarono verso di lui. L’intera storica front-line dei Cletics a contrastare il 32 gialloviola. Magic si alzò in aria e lasciò andare un gancio oltre le mani protese degli uomini simbolo di Boston. Solo rete. 107 a 106. Mancavano due secondi al termine della sfida.
I Celtics avevano ancora un possesso per vincere. I Lakers incredibilmente lasciarono libero Bird per la tripla. Ma la storia era già stata scritta. La palla scagliata con mano sicura entrò ed uscì dal cesto. Poi ci fu solo il suono della sirena a decretare la fine delle ostilità.
I Lakers avevano vinto gara 4 grazie ad un gancio. Ma non era stato di Jabbar. Junior Sky Hook, lo ribattezzò lo stesso Magic a fine gara.
“Ti aspetti di perdere con i Lakers per colpa di un gancio. Quello che non ti aspetto è che a farlo sia Magic!” le parole di Larry Joe Bird nel dopo partita.
La frittata era fatta. Los Angles si era portata sul 3 a 1. I Celtics si imposero in gara 5 in casa per 123 a 108, nonostante 29 punti, 12 assist, 8 rimbalzi e 4 recuperi di un Magic che ebbe scarso apporto dai suoi compagni.
Ma ora Los Angles aveva due gare casalinghe da giocare per chiudere i conti. Alla prima i gialloviola non fallirono.
Partirono male. All’intervallo i Celtics conducevano per 56 a 51. Magic aveva solo 4 punti a referto. Di nuovo l’incubo celtico aleggiava su un Forum silenzioso. Ma quando le squadre tornarono sul terreno di gioco, la partita prese un’unica direzione.
Wothy realizzò 22 punti. Jabbar ritornò ai fasti del passato per scrivere sul suo box score 32 punti, 6 rimbalzi e 4 stoppate. Magic ebbe 16 punti, 19 assist, 8 rimbalzi. I Lakers rimontarono e vinsero gara 6 (106-93) e titolo.
Magic fu nominato MVP delle finali per la seconda volta in carriera. Tempo dopo Bird dichiarerà: “Quella serie si decise nell’ultimo minuto di gara 4. È successo tutto in quei sessanta secondi. Robert lascia andare via la palla che rotola sui piedi di Kevin. Loro sbagliano un tiro libero decisivo e noi non prendiamo il rimbalzo. Io sbaglio la tripla. Quante chances ci occorrevano per vincere quella gara?”.
Pubblicato per Playitusa il
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