10. I nipotini di Bill Russell
La semifinale di Conference contro i Sixers era stata un vera e propria battaglia per Boston.
Sotto per 3-1 e con l’evidente convinzione che Philadelphia fosse più squadra, i Celtics avevano dovuto far ricorso a tutto il loro smisurato orgoglio e all’immensa classe di Larry Bird per ribaltare il risultato e piegare nelle tre partite successive la resistenza del Doc e dei suoi compagni.
Era stata una vera impresa, molto spesso parsa persino disperata, ma quando in gara 7, Bird aveva messo a segno il canestro della vittoria ed il popolo del Garden aveva invaso il parquet, a tutti era apparso chiaro che Boston si apprestava a vincere il quattordicesimo anello della sua storia. Il primo dell’epoca Bird.
A contenderle il titolo in finale c’erano gli Houston Rockets, guidati da coach Del Harris.
Houston aveva chiuso la stagione regolare con il mediocre bilancio di 42 vittorie e 40 sconfitte. Aveva approfittato della dabacle dei Lakers e di Magic Johnson al primo turno di PO, quindi aveva avuto la strada spianata (nonostante una tenace resistenza degli Spurs, piegati solo alla settima) per approdare in finale.
La squadra del Texas aveva in Moses Malone il suo vero grande punto di forza. Malone era un centro non troppo dotato tecnicamente, ma dalla straordinaria potenza fisica, una velocità di piedi impressionante ed un tempismo a rimbalzo, soprattutto offensivo, come raramente si era visto su un parquet. Moses in quegli anni giocava un basket assolutamente devastante. Rimbalzista di eccelsa grandezza, superbo realizzatore, all’epoca era considerato insieme a Kareem Abdul Jabbar, il miglior centro della lega.
Malone aveva chiuso la stagione con 27.8 punti per partita (secondo nella lega dietro Adrian Dantely) e 14.8 rimbalzi (primo posto per lui). Vinse la classifica dei rimbalzi per 6 anni, di cui 5 consecutivi, arrivando in una stagione a toccare la stratosferica cifra di quasi 18 a gare, cifra che non veniva registrata dai tempi di Wilt Chamberlain ed Elivs Hayes e che in seguito raggiungerà solo Rodman nelle sue due prime annate di miglior raccattapalloni della lega.
Nelle due stagioni immediatamente successive a quella finale, Mo’ conquisterà il premio di MVP di stagione regolare (già suo nel ‘79) per due anni consecutivi, gli ultimi prima del decennale dominio Bird/Magic/Jordan.
Nonostante il colosso con la maglia numero 2 dei Rockets, nessuno era così folle da pensare di poter assistere ad una serie finale combattuta o quanto meno equilibrata. Non una mancanza di rispetto verso gli avversari, ma la consapevolezza che nessuna squadra della costa occidentale, Lakers a parte, poteva contrastare lo strapotere della regina dell’est.
I Celtics avevano una squadra nettamente più forte. Due lunghi (McHale e Parish) che non si sarebbero certo tirati indietro nell’epico confronto con il centro avversario, un play esperto come Tiny archibald, ma soprattutto avevano Larry Bird.
Gli ultimi due punti con cui Boston aveva definitivamente piegato Philly portavano la sua firma e negli occhi di tutta l’America continuavano a risplendere le immagini di quel canestro risolutivo. Bird che cattura il rimbalzo. Bird che percorre tutto il campo da una costa all’altra. Bird che carica il tiro. Bird che infila di tabellone. Bird che esulta.
In realtà in pochi avevano notato come Boston già da qualche gara palesasse una precaria conidizione fisica. In pochi avevano fatto caso alle ultime 3 vittorie contro i Sixers, tutte maturare con una clamorosa rimonta nei minuti finali e agevolate anche dal suicidio collettivo dei giocatori di Philly nei possessi decisivi.
Teoricamente la serie finale era già segnata in partenza, vero. Ma Boston aveva speso tutte le residue energie di una stagione fantastica ma al contempo estremamente dispendiosa, proprio in quella epica finale di Conference.
I Celtics si presentarono all’appuntamento decisivo a corto di fiato e di gambe e se questa situazione fu mascherata in gara uno da uno stratosferico Bird, nelle gare successive risultò evidente a tutti, tanto da spingere qualcuno persino a sovvertire i pronostici della vigilia.
È onesto, a questo punto, affermare che la concorrenza ad ovest nei primissimi anni ’80 era molto meno agguerrita rispetto a quella dell’est e questo facilitava non poco il compito della contendente occidentale nella serie per il titolo. L’anno dopo, quando ad esempio i Lakers piegheranno in finale i Sixers, è doveroso ammettere che Philly aveva dovuto sputare sangue per eliminare i Celtics in 7 tiratissime partite, mentre LA si era presentata decisamente più fresca all’appuntamento decisivo.
I Rockets sembrarono poter approfittare sin dalla prima gara dell’appannamento fisico dei Celtics. Sorprendentemente presero subito il comando, chiudendo il primo tempo sul 57 a 51. Il distacco aumentò di un punto alla fine del terzo quarto: 83-76 per la squadra texana.
Poteva essere debacle fin da subito, ma Larry Bird semplicemente respinse l’idea della sconfitta.
Al primo possesso dell’ultimo quarto realizzò quello che per molti è secondo per bellezza solo al mitico canestro di Erving in gara 4 di finale dell’80 contro i Lakers e Jabbar. Bird prese palla sul lato destro del campo a circa diciotto piedi di distanza dal canestro. La costante pressione dell’ala dei Rockets, Robert Reid, non gli impedì di scagliare il tiro. Nel momento stesso in cui la palla lasciava le sue dita, il 33 biancoverde si catapultò in avanti per catturare il rimbalzo. Di certo non ce l’avrebbe mai fatta se non si fosse istintivamente accorto che il tiro non era preciso. E ovviamente se non avesse previsto dove sarebbe caduta la palla dopo il rimablzo. La sfera toccò il ferro e schizzò sulla destra, proprio dove magicamente stava planando il 33 biancoverde.
Bird la catturò al volo, ma la spinta del salto con cui era andato a rimbalzo, lo stava portando fuori dal campo.
The Legend cambiò mano con la stessa velocità con cui una persona normale sbatterebbe le ciglia. Portò la sfera dalla destra alla sinistra e, sempre in volo, fece partire un morbido tiro.
Mentre Reid, che aveva seguito il biondo di French Lick anche a rimbalzo, volava fuori dal rettangolo di gioco, il tiro di Bird baciava la retina.
Il tutto era avvenuto in una manciata di secondi.
A quel canestro l’intero Boston Garden (con Auerbach a fare da capo ultrà) esplose in un boato di gioia e meraviglia.
Bill Russell, che stava commentando la partita per la CBS, rimase senza parole: “He not only knew where the ball was going to land, he knew… that he knew!”.
Red Auerbach battezzò la giocata come “The greatest play i’ve ever seen”.
Dopo il numero di Bird, i Celtics sembrarono risveglarasi e chiusero in scioltezza gara 1, sul punteggio di 98 a 95.
Serie sull’uno a zero. Pronostico rispettato. Ma ancora per poco.
Boston veniva ora da quattro vittorie consecutive tutte centrate con una sorprendente quanto entusiasmante rimonta nel finale.
Ma sebbene in tutte le trasmissioni sportive americane, celebrassero la forza dei Celtics e la classe di Bird, in casa biancoverde le cose non andavano affatto bene. Coach Fitch era stato il primo ovviamente a capire come i suoi stessero progressivamente calando il loro rendimento generale. Ciò che più lo preoccupava erano paradossalmente proprio le condizioni del suo miglior giocatore. L’eroe che aveva risolto ancora una volta alla sua maniera un momento delicato per i Celtics, appariva agli occhi dell’allenatore palesemente stanco.
In gara due i Rockets presero nuovamente il comando del gioco e del punteggio.
Si narra che nell’intervallo Fitch fece una sfuriata ai suoi giocatori, arrivando a spaccare con un pugno la lavagna su cui erano disegnati gli schemi. Ma questa volta non bastò. I Celtics provarono ancora una volta a rientrare in partita nel finale, ma Houston non volle saperne di mollare.
Bird per tutta la gara tirò con cattive percentuali, Malone dominò i lunghi di Boston a rimbalzo e Houston si impose al Garden, fra lo stupore generale, per 92 a 90.
“Questa sconfitta è stata uno schiaffo sul viso. Potrebbe servire a risvegliarci!” dichiarò M. L. Carr a fine gara.
I Celtics impostarono gara 3, al Summit di Houston, su una difesa arcigna che mirava a ridurre il numero di palloni destinati sotto canestro a Malone.
Bird subì a sua volta la dura marcatura di Reid. L’ala dei Rockets usò tutti i metodi possibili, più o meno leciti, per fermarlo, ed alla fine il suo sforzo difensivo pagò. Per la seconda partita consecutiva il biondo di French Link si ritrovò ad avere grossi problemi al tiro.
I due antagonisti si ritrovarono a fine gara per un duro e poco elegante faccia a faccia che a molti parve esser frutto della frustrazione del 33 biancoverde.
La tattica dei Celtics diede comunque i suoi frutti e gara 3 fu vinta agevolmente per 94 a 71. Larry Bird, appurato che il tiro non voleva semplicemente saperne di entrare, si era dedicato agli altri aspetti del gioco e aveva concluso la sua prestazione con soli 8 punti ma 13 rimbalzi, 8 assist e 5 recuperi.
Ma quando le cose sembrarono risistemarsi per i Celtics e l’ordine essere ristabilito, gara 4 fu un altro schiaffone.
Del Harris, allenatore dei Rockets, utilizzò solo sei uomini, non compiendo alcuna rotazione, Larry continuò a litigare con canestro ed avversari (ancora soli 8 punti per lui) e Malone continuò a dominare. 91-86 per Houston, il punteggio finale.
Due parite al Garden, due partite al Summit e serie sul 2 a 2.
Reid fu dipinto dalla stampa come l’unico capace di fermare il 33 biancoverde. Ma, senza nulla togliere all’ala dei Rockets, la verità era che Bird, come tutti i Celtics, non aveva semplicemente più gambe e fiato.
Per gara 5 si ritornava a Boston e qualcuno già iniziava ad ipotizzare un clamoroso colpo di scena. I Celtics lentamente cadevano a picco. I Rockets acquistavano fiducia. Anche troppa. E questo probabilmente fu il loro errore più grande. Al termine di gara 4 infatti accadde qualcosa di estremamente significativo, che forse mutò il destino della serie.
Moses Malone, attorniato da decine di microfoni, si lasciò andare ad una spavalda dichiarazione, che ben presto fece il giro di tutti i networks americani: “Potrei prendere 4 ragazzi dalle strade di Petersburg (suo luogo di nascita, NdA) e battere i Celtics. Non penso siano così forti. Non penso saranno più capaci di fermarci!”.
Fu una provocazione in grande stile. Fu anche anche il momento che sancì l’epilogo della serie e la fine delle speranze dei sorprendenti Rockets.
Auerbach non avrebbe potuto sperare in niente di meglio di quella frase per risvegliare il killer instinct dei suoi ragazzi.
Bill Fitch ricamò sopra quella parole un bel discorsetto per pungere nell’orgoglio i suoi giocatori. E poco prima di gara 5 Cedric Maxwell parlò: “L’uomo ci ha sfidato! E la nostra è una squadra che sa accettare le sfide!”.
A pochi secondi dalla fine del primo quarto di gara 5, i Rockets erano avanti di 3 punti: 18 a 15 diceva il punteggio.
Fu l’ultima volta che i Rockets sarebbero stati in vantaggio fino alla fine della serie.
Bird continuò a tirare malissimo (12 punti e 12 rimbalzi per lui a fine gara), ma Maxwell trascinò i suoi alla vittoria. I Celtics dominarono i tre quarti successivi, imponendosi per 109-80. Ventinove punti di scarto e “dei ragazzi di Petersburg” nesusna traccia.
Fu una lezione di basket in piena regola, ma a Malone non era bastata: “Rispetto i Celtics, ma non sono poi così forti come dite. Non berranno champagne dopo gara 6”.
Purtroppo per lui, proprio in gara 6 si risvegliò il numero 33.
A metà gara Boston conduceva 53 a 47. Nel terzo quarto il vantaggio dei Celtics raggiunse i 15 punti. Moses guidò i suoi Rockets ad un parziale di 16 a 4, portando la sua squadra sotto di appena tre punti. 86-83, Celtics.
Bird segnò da quattro metri, tornò in difesa e subì fallo da Tom Henderson. Due su due dalla linea e Celtics sul più 7: 90 a 83.
Quattro tiri liberi per Houston ed un canestro di Maxwell su assist di Bird, fissarono il risultato sul 92 a 87, quando mancavano 2 primi e 20 secondi alla fine. I Rockets si rifecero sotto con un tiro in sospensione di Garrett e la partita entrò nei secondi decisivi col punteggio ancora in bilico.
Ma ancora una volta, Larry Bird prese per mano la sua squadra ed i suoi compagni nel momento più critico. Con palla in mano sull’angolo sinistro del campo, il 33 fece un passo indietro per portarsi oltre l’arco dei 3 punti e scagliò la tripla che voleva dire una sola cosa per Boston. Anello.
La sfera scosse la retina nel momento in cui il Summit precipitava nel silenzio più assoluto. Quel canestro consegnava di fatto il titolo a Boston. Il risultato finale fu di 102 a 91.
Nonostante la promessa di Malone, per i Celtics lo champagne prese a scorrere a fiumi nello spogliatoio.
Bird, stravolto di felicità strappò il sigaro dalla bocca di Auerbach, in un gesto che mai nessuno prima aveva minimamente osato compiere, e lo strinse fra le labbra, mentre i giornalisti presenti immortalvano quel momento in decine di fotografie.
Il premio per il miglior giocatore della finale andò a Cedric Maxwell, ma il profeta della squadra, l’uomo che aveva piegato i Sixers, che aveva siglato il canestro decisivo contro i Rockets, che aveva portato nuovamente l’anello a Boston, colui che aveva deciso le partite nei momenti più critici, era stato Larry Joe Bird.
Un giocatore appena alla sua seconda stagione da professionista, ma già sul tetto del mondo e dal futuro radioso davanti a sé.
“He’s just one of a kind” furono le parole con cui coach Fitch gli rese omaggio a fine caro. Tradotto, è unico.
Ma che un giocatore come Bird fosse estremamente raro nel panorama cestistico americano era sicuramente vero. Che fosse unico, si potrebbe nutrire qualche dubbio. Almeno un altro molto simile, c’era.
Sull’altra costa degli States, Magic Johnson, nella sua lussuosa casa di Los Angeles, guardava Bird festeggiare.
Sorrideva. Il suo momento stava per tornare.
Pubblicato per Playitusa il
No Comments
This entry is filed under NBA Legendary Games.
You can also follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed.
Or perhaps you're just looking for the trackback and/or the permalink.